Anarchici, non criminali «Non si processano le idee»
diMauro Lissia
Respinta la richiesta della Ddat di sorveglianza speciale per cinque attivisti
28 ottobre 2021
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CAGLIARI. Non basta aderire all’attività di un gruppo antagonista, un gruppo apertamente ostile alle istituzioni democratiche per diventare un criminale. Sono le azioni violente, non le idee, a violare le norme del codice penale. Per i giudici dunque i cinque anarchici sotto processo insieme ad altri 38 antimilitaristi per le manifestazioni nelle basi avvenute tra il 2014 e il 2017 e per alcune rapine, danneggiamenti e imbrattamenti compiuti nel corso di azioni di protesta politica, non rappresentano un pericolo per la collettività e per lo Stato, codice alla mano non costituiscono come sostiene l’accusa un’associazione terroristica o sovversiva. Se hanno commesso reati, le loro sono state azioni autonome e individuali perché mancano agli atti del procedimento gli elementi essenziali per dimostrare che esistesse «una struttura organizzata e un programma specifico di azioni violente per sovvertire l’ordine democratico». È con queste ed altre motivazioni, contenute in un provvedimento di 34 pagine ricco di spunti di notevole interesse, che il tribunale presieduto da Cristina Ornano - giudici Luca Melis e Elisabetta Patrito - ha respinto la richiesta avanzata dalla Direzione distrettuale antiterrorismo (Ddat) di sottoporre Roberto Bonadeo (34 anni) di Torino, Valentina Maoret (38) di Feltre, Marco Desogus (27) di Cagliari, Davide Serra (28) di Cagliari e Gianluca Berutti (41) di Cagliari, alla misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per tre anni. Difesi dagli avvocati Albertina Zanda e Carlo Monaldi, i primi due sono accusati - in un processo che assume ora forti connotazioni politiche - di aver costituito e diretto l'organizzazione eversiva, gli altri tre di aver partecipato a manifestazioni antimilitariste come quella dell'11 giugno 2015 alla base aerea di Decimomannu, a Capo Frasca e a Quirra, e a cortei antimilitaristi come quello di Cagliari due anni più tardi che per la Procura sarebbero sfociati in danneggiamenti, imbrattamenti di veicoli e altre azioni illegali.
Nel capo d'imputazione la Procura distrettuale elenca «manifestazioni e cortei violenti, organizzazione di campeggi antimilitaristi» cui avrebbero partecipato esponenti dell'anarco-insurrezionalismo della penisola, danneggiamenti ad obbiettivi considerati vicini all'attività militare e «attività di divulgazione di un antimilitarismo sovversivo». Per il tribunale che ha deciso sull’istanza della Ddat però tutto questo non è sufficiente a definire i contorni di un’organizzazione sovversiva. Il collegio osserva, nella stretta sostanza, come sia legittimo processare le azioni violente e le organizzazioni attrezzate e armate per realizzarle, ma non le idee che le ispirano.
Scrive il giudice Ornano nel decreto: «È indubbio che i cinque imputati siano tutti accomunati dall’adesione all’ideologia anarchica, con particolare focalizzazione dell’area di interesse sul tema dell’antimilitarismo e della contestazione delle basi militari sul territorio sardo. Ma il fatto di aderire a un’ideologia che esprime una visione di radicale rifiuto e di contestazione dello Stato e delle sue articolazioni democratiche, tanto da teorizzarne quale suo obbiettivo finale non la riforma ma la sovversione e insieme ad esso di tutte quelle organizzazioni che lo simboleggiano nella sua dimensione interna e internazionale, non costituisce reato. E ciò perché lo stato democratico e pluralista - scrive il magistrato - deve ammettere che nella dialettica politica possano trovare espressione anche quelle visioni che negano ad esso legittimità, per affermare modelli di relazioni politici e sociali anche radicalmente diversi e antagonisti rispetto ad esso. E ciò anche quando sia propugnato il ricorso ad atti di contrasto, disturbo, sabotaggio quale metodo di lotta politica, purché tale teorizzazione si tenga in termini di un astratto programma e non si traduca invece nel compimento di atti di violenza e antisociali, nella forma tentata e consumata».
Il processo pubblico ai 43 antimilitaristi si aprirà il 6 dicembre davanti ai giudici della Corte d’Assise. Il decreto del tribunale che smonta l’accusa riferita al reato associativo potrebbe pesare sul giudizio.
Nel capo d'imputazione la Procura distrettuale elenca «manifestazioni e cortei violenti, organizzazione di campeggi antimilitaristi» cui avrebbero partecipato esponenti dell'anarco-insurrezionalismo della penisola, danneggiamenti ad obbiettivi considerati vicini all'attività militare e «attività di divulgazione di un antimilitarismo sovversivo». Per il tribunale che ha deciso sull’istanza della Ddat però tutto questo non è sufficiente a definire i contorni di un’organizzazione sovversiva. Il collegio osserva, nella stretta sostanza, come sia legittimo processare le azioni violente e le organizzazioni attrezzate e armate per realizzarle, ma non le idee che le ispirano.
Scrive il giudice Ornano nel decreto: «È indubbio che i cinque imputati siano tutti accomunati dall’adesione all’ideologia anarchica, con particolare focalizzazione dell’area di interesse sul tema dell’antimilitarismo e della contestazione delle basi militari sul territorio sardo. Ma il fatto di aderire a un’ideologia che esprime una visione di radicale rifiuto e di contestazione dello Stato e delle sue articolazioni democratiche, tanto da teorizzarne quale suo obbiettivo finale non la riforma ma la sovversione e insieme ad esso di tutte quelle organizzazioni che lo simboleggiano nella sua dimensione interna e internazionale, non costituisce reato. E ciò perché lo stato democratico e pluralista - scrive il magistrato - deve ammettere che nella dialettica politica possano trovare espressione anche quelle visioni che negano ad esso legittimità, per affermare modelli di relazioni politici e sociali anche radicalmente diversi e antagonisti rispetto ad esso. E ciò anche quando sia propugnato il ricorso ad atti di contrasto, disturbo, sabotaggio quale metodo di lotta politica, purché tale teorizzazione si tenga in termini di un astratto programma e non si traduca invece nel compimento di atti di violenza e antisociali, nella forma tentata e consumata».
Il processo pubblico ai 43 antimilitaristi si aprirà il 6 dicembre davanti ai giudici della Corte d’Assise. Il decreto del tribunale che smonta l’accusa riferita al reato associativo potrebbe pesare sul giudizio.