La Nuova Sardegna

Focolaio di Medjugorje: difficile frenare i contagi

Luigi Soriga
Focolaio di Medjugorje: difficile frenare i contagi

I positivi sono già 200 e il virus galoppa tra parenti e amici dei pellegrini. Troppe disattenzioni in Bosnia e nessuna quarantena al ritorno a casa

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SASSARI. Il pellegrinaggio al covid di Medjugorje è un monito: fa capire quanto sia facile innescare un cluster e come il banco possa saltare da un momento all’altro. Assieme al santino, all’acqua benedetta e al rosario, in omaggio per i nipoti, zii e cugini, con consegna a domicilio, era compreso anche il virus. E la catena dei contagi si sta espandendo, e non si possono fare ancora previsioni sui confini di questo focolaio. Se va bene si sta intorno ai 200 positivi, e questo sì che sarebbe un miracolo. Se invece la distribuzione di souvenir è avvenuta su larga scala, si potrà arrivare anche a 1000 infetti.

Chi è partito per Medjugorje, stando ai racconti dei pellegrini, lo ha fatto con assoluta leggerezza. Primo errore: nessuno sapeva di andarsi a infilare in una zona ad alto rischio, che cambiava colore e diventava rossa proprio mente la comitiva metteva piede in Bosnia. Alcuni hanno affrontato questo viaggio animati da fede e speranza, con un tampone negativo in valigia, ma senza un vaccino che li proteggesse per davvero. Con più di sessant’anni sulle spalle e magari anche qualche acciacco da raccomandare ai piani alti, per miracolose cure. 180 fedeli, provenienti dal nord Sardegna, partiti da Olbia, e divisi in cinque gruppi, ognuno con un proprio pullman. L’uso della mascherina, in situazioni indoor, ormai fa parte delle nuove abitudini. E infatti gli anziani pellegrini, sia in aereo che durante le trasferte in bus, avevano bocca e naso coperti. Il problema, inevitabilmente, è durante i pasti, quando la bocca bisogna per forza spalancarla. Tavolate anche da dieci persone, si mangia e si chiacchiera, e il distanziamento viene meno. Una situazione che si verifica anche in qualsiasi ristorante, durante una pizzata tra amici. Con la differenza che siamo in Bosnia, in piena quarta ondata, e basta un cameriere infetto che tocca il cibo e serve i piatti, per condire una cena al covid.

L’altra grande incognita dei pellegrinaggi sono i momenti di preghiera collettiva. Talvolta i fedeli di diverse latitudini si sfiorano mentre sono in fila, o si incrociano in una scalinata, oppure stanno fianco a fianco dentro una chiesa. Se poi il prete distribuisce l’ostia di bocca in bocca, come si faceva sino a due anni fa, senza igienizzarsi le mani, uno rischia di liberarsi dai peccati ma di fare il pieno di virus.

La guardia insomma era troppo bassa, e accade ancora di più quando a fondersi in un unico luogo è un’umanità fragile, vulnerabile che condivide suggestioni, speranze e fede. Lo scontrino è arrivato subito, prima ancora del ritorno a casa, con anziani già con sintomi evidenti, con malessere, febbre e tosse. E poi l’altro “miracolo” annunciato dei 180 tamponi negativi eseguiti da un laboratorio privato di Medjugorje. Con il via libera per il volo di ritorno a tutti i passeggeri, infetti compresi. Il covid è stato recapitato puntuale a Olbia. Nessuna quarantena preventiva, pur se la provenienza dei viaggiatori era la Bosnia rossa. Niente telefonate tempestive nemmeno dopo che il primo tampone, eseguito ad Arzachena, ha segnalato il primo positivo della comitiva. Niente tam tam da parte degli organizzatori, o dall’Ats: nessun pellegrino blindato subito in casa. E via col pellegrinaggio dai parenti.

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