Il percorso transgender di Ludovica Satta: «Essere donna è una conquista»
La 25enne di Olbia si racconta
Sassari La voce all’inizio trema, è normale, non è cosa da tutti i giorni rispondere a un’intervista e raccontarsi. «Iniziamo, vuoi sapere che belva mi sento?», ride Ludovica Satta, sentendosi un po’ ospite di Francesca Fagnani seduta sullo sgabello.
Guardarsi attorno Ludovica è una ragazza transgender di 25 anni e vive a Olbia. È nata maschio ma sono passati ormai dieci anni da quando per la prima volta ha realizzato che sì, dentro si sentiva femmina e voleva vedersi tale. Il percorso è stato lungo ed è ancora in itinere, ma il suo è il racconto di una persona che finalmente si piace, si sente a proprio agio e un punto di riferimento.
«Diciamo che ho spianato la strada ad altre persone – spiega Ludovica Satta –, parlo di chi in questi anni mi ha conosciuta e mi ha chiesto consigli. Mi sono sempre sentita un punto di riferimento almeno in città. Quando ho cominciato il percorso di transizione avevo 16 anni e attorno non conoscevo nessuno a cui poter chiedere». Per questo motivo Ludovica – richiamare il nome di battesimo non le piace e in effetti ormai non ha più senso – aveva mosso i primi passi sul web, con i video di una youtuber americana che, raccontando le sue vicende, era diventata la sua guida. Questione di tempismo: da oltreoceano c’è un neo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che nel suo discorso d’insediamento ha sentito di dover evidenziare l’esistenza di due soli generi, maschio e femmina, mettendo al bando l’intera comunità transgender.
Prima e dopo «Per me è stata come una vocazione, la chiamerei così», sostiene “Lù”. «Da piccola ero un bambino che si faceva delle domande, ma mai mi sarei immaginata di diventare una donna – rivela –. L’ho scoperto e l’ho realizzato nel giro di un anno, da adolescente. Ho cominciato a immaginarmi in modo femminile». Si parte sempre dalle piccole cose, «e io banalmente quando vedevo una coppia etero al bar, mi rivedevo nei panni della ragazza, volevo essere lei». I primi passi sono i più lunghi, «mi sono rivolta a una psicologa, per un anno e mezzo mi sono sottoposta a test su test», dopodiché una relazione le attesta che è pronta a iniziare la terapia ormonale. Dal piano psicologico a quello fisico, con un endocrinologo. E poi il piano burocratico, che è forse la montagna più alta da superare. Con il lasciapassare stavolta di uno psichiatra e poi assistita da un avvocato, Ludovica comincia nel 2019 l’iter per il cambio dei documenti e i permessi per sottoporsi agli interventi chirurgici, l’ok arriva solo nel 2021.
L’era dell’apparire La ragazza è scettica, «oggi vedo tanta apparenza». In che senso? «Non è il trucco o un vestito corto a farti donna. Vedo ragazzi vestirsi da donna e chiamarsi al femminile, io quel “lei” me lo sono guadagnata. Oppure ragazzi che pur parlando di femminilità rifiutano di sottoporsi a un percorso psicologico ed endocrinologo. Allora puoi dire di essere una “ladyboy”, ma non mettiamo tutte le cose sullo stesso piano», sostiene. Poi si guarda indietro, sul piedistallo dell’apparenza ci è salita anche lei: «Per me era importante apparire il più femminile possibile, e riconosco di essere stata esagerata. Mi sono rifugiata negli eccessi, tra cui l’alcol, e in ogni uscita con le amiche cercavo l’amore nello sguardo di un ragazzo. Per me la sopravvivenza era sentirmi amata e voluta». Però dice una grande verità, Ludovica Satta, con alle spalle un’esperienza che l’ha forgiata, quando riflette: «L’importante è sentirsi bene con se stessi. Riuscire a stare da soli, a non aver paura dei propri pensieri».
Capelli biondi, labbra carnose, un seno importante, «so di essere diventata molto carina», poi si corregge: «Sono proprio una bella ragazza». Ride imbarazzata, non vuole sembrare vanitosa «però ho un fisico che mi piace e che piace ai ragazzi». È cambiata la prospettiva: prima quando postava su Instagram una foto provocante «era per il bisogno di mostrare la mia femminilità», adesso quando le capita di condividere uno scatto sexy «è perché ho voglia di farlo e basta, senza secondi fini». I suoi genitori – e questa è stata una grande fortuna – sono sempre stati dalla sua parte e l’hanno supportata. Il resto della famiglia meno, «qualche zia ora è invidiosa». Le tracce di bullismo si fermano agli anni antecedenti alla transizione, ora «non ho mai ricevuto sguardi o gesti sgradevoli, in pochi si ricordano di me prima». E il sollievo di non dover dare alcuna spiegazione a chi ha di fronte è una grande libertà. «Comunque vuoi sapere che belva mi sento? Un gatto».