La Nuova Sardegna

La sentenza

Pensioni, sindacati sardi in rivolta per i tagli benedetti dalla Consulta

di Andrea Massidda
Pensioni, sindacati sardi in rivolta per i tagli benedetti dalla Consulta

«Si colpisce in modo particolarmente duro una regione come la Sardegna, già afflitta da redditi molto bassi»

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Cagliari Il cosiddetto raffreddamento della rivalutazione automatica delle pensioni superiori a quattro volte il minimo Inps – quindi di quelle dai 2.101 euro lordi mensili in su – non lede i principi di ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza a garanzia dei lavoratori in quiescenza. A dirlo non è un ministro del governo guidato da Giorgia Meloni e nemmeno un esponente della maggioranza parlamentare, bensì la Corte costituzionale che attraverso una sentenza emessa sabato scorso si è espressa sui tagli contenuti nella legge di bilancio del 2023. Per la Consulta, le questioni di legittimità costituzionale sollevate da alcune sezioni regionali della Corte dei Conti (Toscana e Campania) non solo sono infondate, ma «il meccanismo legislativo non è irragionevole perché salvaguarda integralmente le pensioni di più modesta entità». E in più risulta coerente con le finalità di politica economica «volte a contrastare anche gli effetti di una improvvisa spinta inflazionistica». Per farla breve, la mannaia sugli assegni è cosa buona e giusta.

Ma che cosa ne pensano i leader sindacali sardi della decisione dei giudici costituzionali? E quali sono, a loro avviso, gli eventuali elementi di ingiustizia che invece la Corte dichiara legittimi? Il primo a rispondere è Fausto Durante, segretario generale della Cgil isolana. «Il nostro giudizio su questo pronunciamento è molto critico – spiega – perché conferma che non c’è una protezione reale del valore delle pensioni rispetto alla dinamica dell’inflazione quindi alla diminuzione del potere d’acquisto delle pensioni. Mentre il costo della vita continua a crescere – prosegue Durante – la rivalutazione delle pensioni non solo non è automatica ma viene anche messa in discussione da decisioni come quella che ha che ha preso la Consulta. Siamo insomma alla programmazione della riduzione del potere d'acquisto, e questo è per noi inaccettabile. Anzi, chiediamo una rivisitazione all’insù del valore delle pensioni che tenga conto di ciò che è avvenuto in questo ultimo quinquennio tra pandemia, guerre e aumento spropositato di prezzi e bollette». La pensa sostanzialmente allo stesso modo Pierluigi Ledda, segretario generale dalla Cisl Sardegna. «Da parte nostra – dice – esprimiamo forte preoccupazione per l’impatto che questa misura avrà sui pensionati con assegni medio-alti. La scelta di bloccare la rivalutazione per queste fasce di persone penalizza chi ha versato contributi per decenni e riduce ulteriormente il loro potere d’acquisto. È ora di smetterla di considerare i pensionati come una risorsa finanziaria per far quadrare il bilancio dello Stato». Ma Ledda mette l’accento anche su altri due aspetti. Il primo: «Le pensioni non sono un privilegio, ma il frutto di una vita di lavoro e di contributi versati. È necessario riconoscere una rivalutazione piena per tutte le pensioni». Il secondo: «La mancata indicizzazione delle pensioni colpisce in modo particolarmente duro una regione come la Sardegna, già caratterizzata da redditi più bassi e un costo della vita in aumento. Vogliamo una rivalutazione piena delle pensioni, per garantire un potere d’acquisto adeguato ai pensionati sardi e ridurre le disuguaglianze territoriali». P arole condivise anche da Francesca Ticca, segretaria generale della Uil isolana. «Su questo punto siamo sempre stati chiari – commenta – allo stato attuale le pensioni non sono adeguate al costo della vita e a una dignitosa qualità della vita stessa. Auspicavamo provvedimenti in grado di ricostituire un volano di riequilibrio di esistenze dignitose e invece si va a colpire un ceto medio che rischia sempre di più di diventare povero».

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