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Il diritto al congedo di paternità: oltre un terzo dei papà non lo usa

di Massimo Sechi
Il diritto al congedo di paternità: oltre un terzo dei papà non lo usa

Solo il 58% dei sardi utilizza lo strumento introdotto dal governo nel 2012. Vagnoni (patronato Acli): «Sono troppi quelli che non sanno di poterlo ottenere»

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Sassari Se voleva essere una misura destinata a favorire una reale parità di genere, il congedo di paternità non è riuscito neanche lontanamente a raggiungere il suo scopo. Introdotto per legge nel 2012, consente al genitore maschio di usufruire di 10 giorni di congedo retribuito al 100% nel periodo che va dai 2 mesi antecedenti la nascita ai cinque successivi.

Va riconosciuto che dalla sua istituzione il numero dei giorni è progressivamente aumentato, passando da uno obbligatorio e due facoltativi ai dieci attuali. Nel 2013 la percentuale di chi ne ha usufruito era solo del 19,2%, mentre l'ultimo dato disponibile indica che siamo arrivati al 64,5% degli aventi diritto. Ciò significa che circa il 35% dei padri, nonostante possa assentarsi dal lavoro nei primissimi mesi di vita del proprio bambino o bambina, rinuncia a questo diritto, o forse non è nemmeno a conoscenza di averlo. Risulta difficile credere che questi dieci giorni possano rappresentare un vero segnale di riequilibrio nella cura dei figli. «Sul congedo obbligatorio di paternità, il primo commento che viene da fare è che c'è tantissima disinformazione a tutti i livelli», spiega Silvia Vagnoni, responsabile del Patronato Acli per la provincia di Sassari.

«Per poterlo ottenere basta una semplicissima domanda che il dipendente deve presentare al datore di lavoro, senza bisogno di doversi affidare ad un patronato. Chi arriva da noi lo fa per chiedere una consulenza, perché magari ne ha sentito parlare ma non sa in che modo ottenerlo». Silvia Vagnoni è probabilmente la persona più adatta per parlare dei motivi per cui questo diritto viene utilizzato in Sardegna solo dal 58,1% degli aventi diritto. C’è da dire che la nostra Regione non è lontana dalla media nazionale del 64,5% e, anzi, rispetto ad altre realtà del centro-sud e delle isole può contare su una percentuale sensibilmente più alta. In Calabria, ad esempio, sono solo il 35,1% dei genitori uomini a ottenere i 10 giorni di congedo lavorativo pagati al 100%.

«Le richieste di consulenza che riceviamo», prosegue, «spesso sono legate alla totale disinformazione in materia anche da parte degli stessi datori di lavoro. Sono loro che invitano il proprio dipendente a rivolgersi a un patronato per verificare se di questo congedo abbiano effettivamente diritto. Credo che comunque ci sia un problema culturale alla base, perché si parte dal presupposto che sia la mamma il soggetto esclusivo a cui debba essere affidata la cura dei figli. Pensi che per quanto riguarda il congedo facoltativo, quello che consente di scegliere se ad usufruire dei 10 mesi di congedo parzialmente retribuito concessi dalla legge sia uno dei due genitori, come patronato abbiamo un ruolo diretto nella fase dell'inoltro delle domande ed è proprio in questo caso che i problemi di retaggio culturale sono più evidenti. In Sardegna, ad esempio, ci sono tante lavoratrici autonome, specialmente nella zona del Goceano e della Barbagia. Questo fatto dovrebbe teoricamente facilitare la presentazione di domande di congedo da parte dei padri. E invece un numero piuttosto alto preferisce lasciare la cura dei figli ai nonni, ad altri parenti, a vicini di casa o a baby-sitter. E contrariamente a quanto si possa pensare, anche tra le nuove generazioni si tende sempre a lasciare quasi del tutto il congedo alla madre». È evidente, a questo punto, che anche il congedo di paternità obbligatorio, nonostante non ci sia in questo caso una scelta da effettuare, risenta comunque di questa mentalità.

«Siamo di fronte ad una misura che somiglia tanto al classico fumo negli occhi, che non trova tra l'altro grande apprezzamento da parte dei genitori uomini – conclude la direttrice del patronato Acli–. Ma soprattutto non risponde minimamente agli obiettivi che la legge aveva fissato, sia che la si guardi dal punto di vista del genitore maschio, che di quello della madre e del suo più che legittimo diritto di poter conciliare famiglia e lavoro esattamente come il padre».

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