Quando la balentìa non è forza creativa
Noemi Sanna
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Il luogo dell'omicidio dei fratelli Pier Paolo e Michelino Piras a FordongianusL'INTERVENTO - L’ennesino omicidio, l’ennesino caso di vendetta riporta l’attenzione su un aspetto della Sardegna e sui suoi multiformi significati
15 novembre 2017
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Anche questo ultimo delitto è Sardegna. Non solo il buon cibo, le spiagge incantate, il mare più bello del mondo, il cielo profondo. Non solo le montagne austere e impenetrabili come lo è il temperamento del suo popolo: sempre in bilico tra ostilità ombrosa e radiosa accoglienza, tra profonda sagacia e sconcertante naivité.
E’ ancora presto per affermare se il duplice omicidio di Fordongianus rientri tra le dinamiche previste dal modello giuridico informale descritto da Antonio Pigliaru nel suo saggio “La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico”. Alcune prime indicazioni sono fornite dal contesto ambientale in cui il delitto sembra essere nato: il mondo agro-pastorale, ritenuto luogo privilegiato in cui può svilupparsi una dinamica omicidiaria in contesto di vendetta. Ma, sopratutto, sono le modalità di esecuzione del delitto a richiamare alcuni significati propri di un particolare tipo di omicidio ben noto in Sardegna. “Un classico omicidio da muretto a secco” lo ha definito il procuratore della Repubblica incaricato delle indagini. Un delitto che ricorda piuttosto l’esecuzione di una sentenza di morte già sancita che un duello il cui esito finale non è mai scontato.
Afferma Pigliaru che nella pratica della vendetta: “…la pena capitale viene eseguita sul presupposto della responsabilità personale e nei casi di offesa di sangue e di grave offesa morale…” e prosegue: “L’offesa deve essere vendicata. Non è uomo d’onore chi si sottrae al dovere della vendetta…”. Da qui si evince quanto il carattere di “necessità-dovere” sia strettamente legato all’agito di vendetta. Non esiste altra possibilità di essere uomo se non attraverso il “realizzarsi nei doveri” e vendicarsi non è che un modo, seppure tragico, di restarvi fedele, uno dei tanti che le circostanze della ci vita pongono di fronte.
Ma quello che emerge, ancora più suggestivo e fortemente pervasivo della cultura dei sardi e del modo stesso di pensare la propria identità, è il concetto di “balentìa”. Termine forse desueto ma che incarna, ancora oggi, un ideale di forza, audacia, disprezzo del pericolo, e definisce anche colui sul quale grava l’onere di portare a compimento azioni contro legge, anche estreme.
Balentìa non è solo questo e sa disvelare di sé innumerevoli altri contenuti. Uno di questi è la capacità di sopravvivere in una natura avversa e povera, in un contesto culturale caratterizzato da dolorose tensioni e forte aggressività intragruppale: la balentia come concezione dell’esistere uguale resistere. Balentìa rappresenta anche il bisogno di dare un significato forte e incisivo alla propria esistenza: la vita come palestra di agiti e sentimenti eroici in cui si valorizza il comportamento avventuroso e spericolato, ma anche violento. Balentìa è anche ricerca di una rassicurante identificazione ad alta risonanza sociale. Ancora: balentìa come culto del “razionale”.
Il balente è persona scaltra e intelligente, colui che, quando uccide, mette in atto una dinamica impeccabile che non lascia scampo alla vittima ed impedisce alle forze dell’ordine di individuarlo. Autentico balente è anche il “buon ragionatore”, il saggio, capace di dirimere le controversie tra gli uomini e di gestire efficacemente i conflitti interpersonali. Balentìa è anche l’ardire del ribelle: non solo il coraggio di affrontare le difficoltà di una vita vissuta al di fuori della legge e di opporsi alla giustizia ufficiale, sentita spesso ingiusta e matrigna, ma anche la determinazione nel voler fare fronte ad ogni forma di ingiustizia da qualunque parte essa provenga.
Anche questo è Sardegna perchè ogni sardo, uomo o donna, sente di avere in sé una qualche forma di questa multiforme balentìa. Ma quanto più di vantaggio sarebbe se il tutto fosse al servizio esclusivo della forza creativa di un popolo e non di una distruttività tardiva e vana. Perché, in accordo con Orwell: “La vendetta è un atto che si vuole commettere quando sei impotente e perché sei impotente: non appena il senso dell'impotenza viene rimosso, anche il desiderio evapora”.
E’ ancora presto per affermare se il duplice omicidio di Fordongianus rientri tra le dinamiche previste dal modello giuridico informale descritto da Antonio Pigliaru nel suo saggio “La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico”. Alcune prime indicazioni sono fornite dal contesto ambientale in cui il delitto sembra essere nato: il mondo agro-pastorale, ritenuto luogo privilegiato in cui può svilupparsi una dinamica omicidiaria in contesto di vendetta. Ma, sopratutto, sono le modalità di esecuzione del delitto a richiamare alcuni significati propri di un particolare tipo di omicidio ben noto in Sardegna. “Un classico omicidio da muretto a secco” lo ha definito il procuratore della Repubblica incaricato delle indagini. Un delitto che ricorda piuttosto l’esecuzione di una sentenza di morte già sancita che un duello il cui esito finale non è mai scontato.
Afferma Pigliaru che nella pratica della vendetta: “…la pena capitale viene eseguita sul presupposto della responsabilità personale e nei casi di offesa di sangue e di grave offesa morale…” e prosegue: “L’offesa deve essere vendicata. Non è uomo d’onore chi si sottrae al dovere della vendetta…”. Da qui si evince quanto il carattere di “necessità-dovere” sia strettamente legato all’agito di vendetta. Non esiste altra possibilità di essere uomo se non attraverso il “realizzarsi nei doveri” e vendicarsi non è che un modo, seppure tragico, di restarvi fedele, uno dei tanti che le circostanze della ci vita pongono di fronte.
Ma quello che emerge, ancora più suggestivo e fortemente pervasivo della cultura dei sardi e del modo stesso di pensare la propria identità, è il concetto di “balentìa”. Termine forse desueto ma che incarna, ancora oggi, un ideale di forza, audacia, disprezzo del pericolo, e definisce anche colui sul quale grava l’onere di portare a compimento azioni contro legge, anche estreme.
Balentìa non è solo questo e sa disvelare di sé innumerevoli altri contenuti. Uno di questi è la capacità di sopravvivere in una natura avversa e povera, in un contesto culturale caratterizzato da dolorose tensioni e forte aggressività intragruppale: la balentia come concezione dell’esistere uguale resistere. Balentìa rappresenta anche il bisogno di dare un significato forte e incisivo alla propria esistenza: la vita come palestra di agiti e sentimenti eroici in cui si valorizza il comportamento avventuroso e spericolato, ma anche violento. Balentìa è anche ricerca di una rassicurante identificazione ad alta risonanza sociale. Ancora: balentìa come culto del “razionale”.
Il balente è persona scaltra e intelligente, colui che, quando uccide, mette in atto una dinamica impeccabile che non lascia scampo alla vittima ed impedisce alle forze dell’ordine di individuarlo. Autentico balente è anche il “buon ragionatore”, il saggio, capace di dirimere le controversie tra gli uomini e di gestire efficacemente i conflitti interpersonali. Balentìa è anche l’ardire del ribelle: non solo il coraggio di affrontare le difficoltà di una vita vissuta al di fuori della legge e di opporsi alla giustizia ufficiale, sentita spesso ingiusta e matrigna, ma anche la determinazione nel voler fare fronte ad ogni forma di ingiustizia da qualunque parte essa provenga.
Anche questo è Sardegna perchè ogni sardo, uomo o donna, sente di avere in sé una qualche forma di questa multiforme balentìa. Ma quanto più di vantaggio sarebbe se il tutto fosse al servizio esclusivo della forza creativa di un popolo e non di una distruttività tardiva e vana. Perché, in accordo con Orwell: “La vendetta è un atto che si vuole commettere quando sei impotente e perché sei impotente: non appena il senso dell'impotenza viene rimosso, anche il desiderio evapora”.