Lavoravano con la cannabis sativa: il gip dispone l’imputazione coatta
Sequestrati 12 quintali di sostanza e 4 persone iscritte nel registro degli indagati
Sassari La legge 242 del 2016 (che disciplina in Italia la coltivazione della cannabis sativa) per il gip Sergio De Luca – che ha richiamato una pronuncia delle Sezioni Unite – non consentirebbe la produzione di foglie o infiorescenze e non può essere fondata la tesi che vorrebbe includere le infiorescenze della canapa nell’ambito delle coltivazioni destinate al florovivaismo (ammesso invece dalla stessa legge).
È una delle argomentazioni a sostegno dell’ordinanza con la quale il giudice ha rigettato la richiesta di archiviazione del pubblico ministero Angelo Beccu nei confronti di quattro indagati ai quali erano stati sequestrati un anno fa12 quintali di canapa (sotto forma di infiorescenze) in un capannone di Predda Niedda. Il gip ha disposto l’imputazione coatta e si andrà quindi a processo. Per il sostituto procuratore Beccu il procedimento a carico dei quattro sassaresi indagati per produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti, andava archiviato. Conclusione alla quale il pm era giunto all’esito di due consulenze tecniche, eseguite durante le indagini, che avevano accertato, in sintesi, “l’inoffensività del fatto”.
Per gli indagati – tre difesi dall’avvocato Antonio Secci e uno dall’avvocato Lorenzo Simonetti – quella sostanza conservata in bidoni di plastica e scatole di cartone era cannabis light, legale. La utilizzavano nella loro impresa dedita alla commercializzazione dei derivati e dei prodotti correlati (oli, saponi, fibre tessili e molto altro). Dopo il sequestro operato dalla squadra mobile i soci si erano trovati in un mare di guai, costretti a sospendere tutte le attività, a licenziare i dipendenti, senza riuscire più a pagare nemmeno l’affitto del capannone.
Il pm Beccu, riferendosi in particolare alla seconda consulenza tecnica (eseguita dalla professoressa Claudia Trignano), aveva ritenuto di dover chiedere al gip l’archiviazione del caso perché “seppure il quantitativo complessivo dello stupefacente consenta di ricavare un numero di dosi elevato – scriveva – la percentuale di principio attivo si rivela talmente infima (tra lo 0,4 e lo 0,9%) da richiederne, affinché la singola assunzione abbia un effetto drogante, un uso abnorme, spropositato e in concreto assolutamente irrealistico secondo la comune esperienza giudiziaria: ne discende l’inoffensività del fatto”.
La Trignano aveva infatti sostenuto che la “capacità drogante di materia vegetale con percentuale di principio attivo Thc pari allo 0,6% dipende da numerose variabili e un valore univoco o standardizzato per stabilire l’efficacia drogante di una sostanza non è rinvenibile nella letteratura scientifica di riferimento”. Per la Procura, quindi, non ci sarebbero gli elementi oggettivi del reato. Ma il gip al contrario ha ritenuto che la condotta degli indagati non rientri nell’ambito della legge 242/2016, che regola la coltivazione industriale di canapa per specifici usi, e che la sostanza in questione non sia priva di efficacia drogante perché quest’ultima non dipende solo dalla percentuale di thc (“che in ogni caso – scrive il gip – nello specifico supera sensibilmente lo 0,6 nella maggior parte dei campioni”) ma da molteplici fattori. Il giudice ha dichiarato “manifestamente infondate” anche le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal difensore Simonetti e ha rigettato la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia. Per il legale “la normativa italiana, così come interpretata da parte della giurisprudenza, appare in violazione del Trattato del Funzionamento dell’Unione Europea in quanto limita la circolazione di un lecito prodotto agricolo”.
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