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Naufragio mortale all’Asinara, nella barca affondata trovati due caschi da motociclista

di Gianni Bazzoni
Naufragio mortale all’Asinara, nella barca affondata trovati due caschi da motociclista

Davide Calvia, trovato morto dopo lunghe ricerche, e il cugino sopravvissuto Giovannino Pinna erano arrivati al porto di Porto Torres in scooter

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Sassari Due caschi da motociclista dentro la cabina dell’imbarcazione che alla fine di ottobre del 2024 era rimasta impigliata nelle reti di un peschereccio al largo di Marritza su un fondale di circa 35 metri. Il semicabinato di sei metri era già stato analizzato dai tecnici che avevano confermato che si trattava della barca misteriosamente scomparsa dal porto di Porto Torres.

Ora l’indiscrezione che arriva da ambienti investigativi sembra offrire un’ulteriore conferma: i due caschi potrebbero essere quelli utilizzati da Davide Calvia e Giovannino Pinna per spostarsi da Sassari a Porto Torres a bordo dello scooter che era stato ritrovato dagli inquirenti parcheggiato all’ingresso della banchina degli “Alti fondali” nel porto turritano a poche decine di metri di distanza dalla capitaneria.

La scoperta dei due caschi può dare alcune informazioni aggiuntive e contribuire a fare un po’ di luce sul naufragio nel quale ha perso la vita Davide Calvia, di 37 anni, mentre il cugino Giovannino Pinna, di 35, era stato ritrovato vivo il giorno dopo il naufragio sulla battigia di Porchile. I caschi dovrebbero essere stati portati a bordo (non vennero trovati nello scooter) da chi ha utilizzato la barca l’ultima volta. E siccome la certezza è ormai che i due cugini fossero nel semicabinato (rubato o sparito in circostanze da chiarire dal porto) è evidente che i caschi sono quelli utilizzati da loro.

Pinna e Calvia, quindi, erano insieme il 12 aprile del 2023, giorno del naufragio. Secondo quanto dichiarato da Giovannino Pinna, al momento della richiesta di soccorso la barca avrebbe dovuto trovarsi nella zona tra Fiume Santo e Stintino, invece le reti del motopesca “Espero” di Porto Torres, l’hanno agganciata alle tre del mattino del 31 ottobre su un fondale di circa 35 metri al largo di Marritza, in direzione Castelsardo, oltre le tre miglia. Da tutt’altra parte.

Questa è la prima parte sulla quale l’inchiesta non ha ancora dato risposte chiare: la barca infatti non poteva essere a Fiume Santo ma è assai più probabile che fosse verso Marritza, più o meno nella zona dove è stata recuperata. L’altro aspetto è riferito a quello che è successo a bordo (o forse prima ancora). Giovannino Pinna potrebbe dare un contributo prezioso a chiarire la vicenda. Dovrebbe spiegare che cosa è successo a bordo della barca, se ci sono stati eventuali problemi prima o se è scoppiata una lite tra i due cugini per motivi tutti da scoprire. O ancora se i due fossero in fuga da qualcuno e bisognerebbe anche scoprire perché.

I caschi trovati a bordo della barca aggiungono solo un altro tassello al puzzle che gli inquirenti stanno mettendo insieme, ma non portano la verità. Di sicuro la zona dove a dieci giorni dal naufragio è stato trovato il corpo di Davide Calvia (che indossava parte di una muta) è compatibile con quella dove è stata agganciata la barca affondata. Deceduto per “politraumatismo contusivo” che avrebbe prodotto uno “shock traumatico acuto”. E sull’origine di quei traumi la storia è ancora tutta da scrivere. 

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