LA GIUSTIZIA SPORTIVA SENZA REGOLE
di STEFANO TAMBURINI È una giungla così intricata che perfino quella amazzonica, al confronto, appare quasi come un boschetto collinare. Qui, fra i rovi delle regole controverse e le sabbie mobili di...
di STEFANO TAMBURINI
È una giungla così intricata che perfino quella amazzonica, al confronto, appare quasi come un boschetto collinare. Qui, fra i rovi delle regole controverse e le sabbie mobili di giudici in balìa degli umori popolari, la retta via del buon senso è smarrita da tempo. Parliamo di una giustizia senza giustizia, quella sportiva, perché quando le pene sono elastiche come la corda del bungee jumping non si capisce mai quanto si vada vicini allo schiantarsi o a restare appesi. Prendiamo il caso di Cannibal Luis Suarez, uno con il vizietto di mordere gli avversari. Ultima vittima (già tre casi conosciuti e puniti) l’azzurro Giorgio Chiellini. Suarez è stato squalificato per nove giornate e bandito per quattro mesi da ogni attività, quella di spettatore compresa. Il dibattito ospita pareri di ogni tipo, a cominciare dal perdono di chi ha ancora il segno dei denti sulla pelle e dalla solidarietà di Diego Armando Maradona per finire a quelli che pretendono l’ergastolo sportivo. Senza volersi aggiungere al dibattito, c’è qualcosa di molto più importante che viene prima. E cioè chiedersi perché una testata ad altezza cuore di Zinedine Zidane viene punita solo con tre giornate (con il contrappeso delle due a Marco Materazzi per la provocazione) e un azzannatore seriale con nove? Perché otto giornate a Mauro Tassotti nel 1994 per aver aperto la faccia di Luis Enrique con una gomitata non meno vigliacca di un morso? C’è un “tariffario”? No, e se c’è qualcosa che gli somiglia, è fin troppo generico. Senza considerare che quasi mai tali nefandezze vengono scoperte dagli arbitri, perché il sistema vuole mantenere il calcio nel Medioevo. Così la (presunta) giustizia arriva sempre dopo. Martedì a Natal, con la moviola in campo, in un tempo minore di quello impiegato per le polemiche, si sarebbe scoperto ciò che poi si è sanzionato solo dopo sull’onda emotiva. In ogni caso sarebbe (ed è) rimasto un eccesso di discrezionalità sui comportamenti antisportivi e diseducativi. E, quel che spiace ancor di più, è che è lo stesso mondo del calcio a preferire una sorta di codice d’onore («quel che accade in campo finisce lì») simile a quello in voga in carcere o che era retaggio di vecchie caserme dei paracadutisti o dei marines. Ci sarebbe invece tanto bisogno di messaggi positivi. Ma finché il calcio resta la giungla del peggio, parlare di civiltà è quasi un azzardo.
@s__tamburini
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