CAGLIARI. La sardità? Se non avessi avuto questo carattere più tenacia, caparbietà e voglia di non mollare, non ce l'avrei mai fatta. Ho avuto molti passaggi difficili, mi hanno salvato l'educazione, i miei genitori Ignazio e Giovanna, la famiglia, gli amici». Gianfranco Zola, un bilancio che sa di buono. Persone, scelte e lavoro che pagano. In campo e fuori. «A Sassari ho trascorso tre stagioni che per me sono state basilari: sono diventato uomo e calciatore» dice tutto d'un fiato. Carriera e percorsi personali, successi e fatiche, gioie e amarezza. Zola, icona di valori pregiati. Tra rispetto, etica, garbo. Pare facile, ma in un mondo che gira e incrocia da sempre potere, bugie, lusinghe e false promesse, business, mercato e società quotate in borsa, il risultato non è banale. Anche per questo il filo Corrasi-Nuorese-Torres-Napoli-Parma-Chelsea-Cagliari, brilla di luce infinita. Per giocate strepitose e vittorie, acclamazioni e carisma. Il tutto in un mix di grandezza, umiltà, eleganza. Il numero 10, quasi a sorpresa, chiude col calcio giocato nel 2005. Con la maglia del Cagliari, riportato in A - con match importanti giocati al "Manconi" di Tempio - dopo aver lasciato due anni prima il Chelsea di Mourinho che avrebbe giocato la Champions. Zola saluta con una doppietta alla Juve in trasferta, con Zambrotta campione del mondo che si inchina alle magie del fuoriclasse di Oliena.
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Ma nei vent'anni precedenti ha vinto lo scudetto e poi preso il posto di Maradona al Napoli, ha fatto impazzire i tifosi del Parma, è diventato il miglior calciatore della storia del Chelsea - che ne ha ritirato la maglia 25 -, è stato due volte tra i primi dieci per il Pallone d'oro, ha vinto trofei internazionali e collezionato encomi. E non è tutto. Testimonial di una raccolta fondi alla British library, la seconda più grande biblioteca al mondo, ha raccolto più sterline di Sean Connery e Kathleen Turner. Chiamato sul palco alla Royal Albert Hall da Elton John, voluto da Ronaldinho nella sfida di Madrid tra i grandi numeri 10, definito da Kevin Keegan «uno che ha tirato fuori dalla scatola dei trucchi cose che al calcio inglese faranno molto bene», con Franco Baresi che non ha mai avuto dubbi: «Nell'uno contro uno ho avuto paura solo di Maradona, Francescoli e Zola».
Osanna e braccia aperte. Ma anche ferite. Dall'espulsione scandalosa contro la Nigeria a Usa '94 inventata dall'arbitro messicano Brizio Carter al rigore paratogli da Koepke nel '96 in Italia-Germania nelle qualificazioni agli Europei. Fino al recente corto circuito risoltosi troppo tardi con Sarri, salvato dal suo vice di Oliena nei momenti ipercritici al Chelsea, abbandonato dal tecnico toscano dopo la conquista dell'Europa League e lesto nel trasloco alla Juventus. «Con Maurizio, forse un po' tardi perché potessi decidere dove andare, ci siamo sentiti. Il Chelsea? Mi ha proposto di fare l'ambasciatore. Ho ringraziato e deciso di aspettare. Il calcio è anche questo. Ripeto, se non avessi avuto dentro gli anni alla Corrasi e alla Nuorese, ma soprattutto quelli alla Torres, non ce l'avrei fatta. A Sassari ho trovato compagni come Roberto Ennas, Sergio Dossena, Walter Tolu che mi hanno accolto e aiutato. Abbiamo vinto la C2 e non so se sia stato perché eravamo un bel gruppo e abbiamo vinto o il contrario. Ero un ragazzino, con la loro amicizia e i loro suggerimenti ho capito che sarei diventato un calciatore».
Ennas, Dossena e Tolu erano i leader di quella Torres?
«Per me sono stati riferimenti e sostegno solido. Anche l'esperienza e il mestiere di giocatori esperti come Petrella, Del Favero, Cariola e Mario Piga, sono stati il top. La Torres era guidata da un grande presidente come Bruno Rubattu, un secondo padre, diretto e pratico nelle decisioni. Un po' il Costantino Rozzi dell'Ascoli. Con al fianco il vice Fusar, figure che, con il colonnello dell'esercito Faedda, mi hanno dato davvero tanto e non potrò mai scordare».
Insomma, Magic box è lievitato all'Acquedotto?
«Sì. A Nuoro ero un ragazzino, con la Torres ho avuto il primo stipendio, dopo il primo anno in C2 trascorso tra la caserma Gonzaga e la foresteria, la casa in via Galilei condivisa con Dossena, la prima auto, una Bmw serie 1».
Quali erano i vostri luoghi?
«Nei dopopartita il bar di viale Adua, la domenica si cenava all'Assassino, al Pavone di Alghero o da Ernesto a Platamona. Lontano dalle gare ci concedevamo anche carne d'asinello e lumache. Che tempi, eravamo matti, c'era intesa. Ma ci siamo divertiti».
Estragga qualche flash di quei tre anni.
«I compagni, anche di recente, raccontano di un mio gol al volo di sinistro segnato all'Entella all'86': se non avessimo vinto, Derthona e Novara ci avrebbero ripreso in testa alla C2. E non scordo i pareggi con il Cagliari. Il quarto e il settimo posto in C1 sono le perle del triennio '86/89. C'erano squadre importanti, stadi di pregio, dal Perugia di Ravanelli e Di Livio, al Novara di Dolcetti. Quei campionati formavano, erano molto competitivi e avevano qualità».
In panca c'era Bebo Leonardi. Quali sono i ricordi?
«Bellissimi. Tecnico esperto e pratico, buoni giocatori e penso a Lubbia e Poggi arrivati dal Torino. Il mister mi diede la 8, facevo il trequartista dietro Ennas e Galli. C'erano anche Mazzeni e Tamponi. Team esperto e carismatico. Il meglio per la costruzione del mio carattere: specie Petrella e Del Favero sono stati importanti, pronti ad aiutarmi e a tirarmi le orecchie quando serviva».
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Sua moglie Franca, che al rinnovo col Chelsea venne osannata dai quarantamila di Stanford Bridge, era già apparsa?
«Sì, eravamo fidanzati dai tempi della Nuorese. Studiava e all'insaputa dei genitori veniva a vedermi giocare a Sassari. Mia moglie è stata e continua a essere la mia forza, indispensabile nelle decisioni e per tutto quel che ho fatto».
Capitolo giornalisti. Chi ricorda? «Tanti. Ma per il supporto, la competenza e l'amicizia, Francesco Pinna della Nuova Sardegna. E Gianni Mura di Repubblica».
Si racconta che per una vostra cena al "Senato", scelto da lei, Mura portò il vino da casa perché non si fidava di Gianfranco Zola sommelier. (ride)
«Vero. Durante un ritiro dell'Italia in trattoria proposi un rosso che Gianni definì orribile. A tavola fui bocciato definitivamente. Ma mi ha sempre voluto bene, in nazionale mi è stato sempre vicino».
Voltiamo pagina. Che idea si è fatto del Cagliari ai vertici?
«Vengono da due sconfitte. Ma con la Lazio, grande squadra come ha constatato anche la Juve a Riad in Supercoppa, potevano vincerla: al 92' erano in vantaggio. La seconda è inaspettata. Con l'Udinese, rognosa e con molta fisicità, ben allenata e organizzata da Luca Gotti, è stata una partita aperta. Il Cagliari ha creato opportunità, ma il gol un minuto dopo il pareggio è stato una mazzata».
Alla ripresa Juve, Milan, Brescia e Inter. Da incubo o no?
«Il Cagliari ha un ottimo organico e un tecnico capace e solido per affrontare a testa alta e con maturità qualsiasi avversario. Maran, Nainggolan e Joao Pedro sono i riferimenti della squadra. Con il rientro di Olsen, che ha fatto molto bene, e il recupero di Cragno, sperando non sia stato affrettato, si apre un bel ballottaggio».
Tommaso Giulini ha nominato Gigi Riva presidente onorario. Cosa ne pensa?
«Scelta perfetta. Riva per me è stato molto importante sia in nazionale, sia quando sono venuto ad giocare e ad allenare il Cagliari».
Passo indietro. Faccia l'undici con i più forti con cui ha giocato?
«Curioso, ci provo. Giochiamo con il 4-3-1-2: Buffon, Ferrara, Baresi, Dessailly, Maldini, Lampard, Albertini, Di Matteo; Maradona, Roby Baggio, Careca e Asprilla. In panca, Peruzzi, Benarrivo, Francini, Poyet, Dennis Wise, Casiraghi, Vialli, Asprilla. E io».
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Qual è la foto più bella dei suoi trascorsi?
«Due, il gol partita con l'Italia a Wembley contro l'Inghilterra su lancio di Costacurta, anche se penso che Billy stesse spazzando. E quello al Norwich di tacco. Lo dedicai a un piccolo tifoso del Chelsea che mi seguiva con affetto. E purtroppo fu stroncato da un male incurabile».
Qual è stato il più grande dei suoi tempi?
«L'unico che si è avvicinato a Maradona è stato Ronaldo. Mi sarebbe piaciuto giocarci assieme».
Meglio Cristiano Ronaldo o Messi? «CR7 è fortissimo, Messi è un alieno».
E tra i giovani italiani chi le piace?
«Barella, un predestinato, e Zaniolo. Con un applauso a Mancini, capace di rinnovare e puntare sulle nuove generazioni. Il record di vittorie testimonia un lavoro profondo e volto al futuro».
Cosa farà da grande l'allenatore Gianfranco Zola?
«Intanto, non ho potuto essere disponibile prima del 15 giugno. E le opportunità che ho avuto non mi erano interessanti. Poi, non prendo squadre in corso. Con Cagliari e Birmingham non mi è andata bene».
Qual è stato il rodaggio da tecnico?
«L'Under 21 dell'Italia allenata con Pierluigi Casiraghi. Ho imparato quanto sia diverso il campo dalla panchina. E non scordo l'esperienza all'Al Arabi: si giocava a 35 gradi, mille spettatori sugli spalti».
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Ha un aneddoto?
«Negli Emirati, un pomeriggio, mentre giocavamo la partitella pre gara, è arrivato un lungo corteo di Rolls, Ferrari e Lamborghini. C'era l'emiro. La sicurezza mi ha avvisato: "Mister, c'è sua altezza, deve giocare". E ha giocato. Mai immaginato un allenamento del genere».
I giornali inglesi hanno scritto che al West Ham il capitano, il bomber gallese Bellamy, le ha chiesto di non partecipare alle partitelle perché i più giovani soffrivano le sue giocate. Vero? (sorride)
«Altri tempi. Poi ho davvero smesso di giocare. Ma non di battere qualche punizione».
Deledda, Lussu, Satta, Gramsci, giganti di sardità: con chi le piacerebbe chiacchierare?
«Con Grazia Deledda, vicina ai miei luoghi e alle mie origini. Personaggio straordinario, mi hanno chiesto di lei ovunque andassi». Gianfranco, qual è l'augurio ai tifosi e alla comunità di Oliena? «Saludi e trigu a tottusu. A giugno aspetto tutti alla settima edizione del torneo giovanile internazionale in memoria di mio padre. Grazie al Comuyne di Oliena e alla Corrasi sosteniamo un percorso di sport e inclusione».