Franco Baresi: «Mare, sole e Gigi Riva: questa la mia Sardegna»
L'asso del Milan racconta 50 anni di pallone vissuti tra campo e scrivania «Il bomber per eccellenza mi ha regalato preziosi consigli»
Un bagno di tifosi. Per salutare un campione dentro e fuori dal campo. Franco Baresi è stato e sarà sempre il capitano del Milan. Si è tolto maglietta e pantaloncini 25 anni fa, ma nel cuore di chi ama i colori rossoneri (è vice presidente onorario del Diavolo) e il calcio in generale, ci sarà sempre uno spazietto per un giocatore che ha scritto pagine importanti di storia.
La dobbiamo chiamare vicepresidente o capitano?
«Franco va bene. Ma se vuole che sia sincero, le confesso che dentro mi sento ancora un calciatore».
Se le dico Sardegna qual è la prima cosa che le viene in mente?
«Ogni volta che vengo qui il mio pensiero vola a Gigi Riva, un uomo speciale».
Che ricordi ha del bomber per eccellenza?
«Ho avuto la fortuna di conoscerlo bene quando era team manager della nazionale. Quanti consigli mi ha dato e quanto pacche sulle spalle nei momenti difficili. Non si è mai messo sul piedistallo. Ti metteva subito a tuo agio, con lui potevi parlare di tutto, sapeva sempre trovare le parole giuste per spronarti».
Oltre a Riva la Sardegna le piace per...
«Il mare, il pesce, di cui sono amante e il maialino arrosto. Ho visto posti da sogno e ho mangiato anche oggi pietanze davvero squisite».
Se parliamo di calcio ha un ricordo di una partita giocata contro il Cagliari?
«Certo. Al Sant’Elia dopo il primo tempo perdevamo 1-0 e i sardi ci avevano messo in difficoltà. Siamo tornati in campo e abbiamo segnato quattro gol. Quella volta è andata bene, però a Cagliari è sempre stato difficile portare via punti».
Se dico Milan, lei che cosa mi risponde?
«La mia vita. Il mio passato, il presente e anche il futuro. Sono arrivato nel club che avevo 14 anni. Sono cresciuto, ho studiato, sono diventato uomo e giocatore. Mi hanno insegnato che nello sport bisogna avere ambizione, sapersi sacrificare. Ma soprattutto mi è sempre stato detto che l’avversario va rispettato».
Ha mai pensato di andare in un’altra squadra?
«No. Eppure momenti difficili ce ne sono stati. Anche quando siamo retrocessi in B l’idea di dire addio non mi ha nemmeno sfiorato. Tra me e il Milan c’è un rapporto speciale, unico, che fa anche oltre i sentimenti».
Lei è spesso a contatto con i giovani, cosa dice ai ragazzi che sognano di diventare campioni?
«Che non devono mai smettere di sognare. Che la passione va coltivata e alimentata ogni giorno. Spetta a noi adulti dare stimoli ai ragazzi, spingerli ad impegnarsi, fare in modo che crescano rispettando certi valori».
Spesso i calciatori per come si comportano sul campo non rappresentano esempi da imitare.
«Sappiamo che il calcio è seguito da milioni di persone. Molte volte questo ce lo dimentichiamo e assistiamo a scene che non ci piacciono. Capisco l’agonismo, però ci sono telecamere ovunque e non sfugge nulla».
Come viveva le sfide con suo fratello Beppe?
«Erano belle ed emozionanti. Lui giocava con l’Inter e nei derby, comunque andasse, ci siamo sempre abbracciati e afine gara. Tra di noi non c’è mai stata rivalità».
Se fosse allenatore, quale campione con cui ha giocato vorrebbe avere nella sua squadra?
«Ho l’imbarazzo della scelta. Al Milan ne sono passati così tanti che un solo nome non si può fare».
A quale allenatore si sente più legato?
«Nils Liedholm è stato un maestro. Mi ha lanciato a 18 anni, mi ha insegnato tutti i segreti del pallone. Con lui già giocavamo un calcio moderno, facevamo la zona. È stato come un secondo padre».
L’Italia per la seconda volta di fila fuori dal Mondiale, qual è la sua riflessione?
«Dopo aver vinto l’Europeo nessuno se lo aspettava. Io ho perso un Mondiale ai rigori, dico che non giocarlo fa malissimo al nostro movimento».
Come vede il suo futuro?
«Al Milan. È la mia vita».
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