Fiabe di Sardegna, l’isola-continente e la sua antologia di mille leggende
La Nuova Sardegna propone dieci libri che raccolgono una vasta collezione di storie, il tesoro tutto da scoprire di una antichissima tradizione orale
C'era una volta... «Un re!» dirà qualcuno di voi. «Una regina» dirà qualche altra. E no, cari ragazzi e ragazze, avete sbagliato in entrambi i casi. Stavolta non c'azzecca proprio nulla neppure quel famoso pezzo di legno, che poi non era neanche un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, che ha dato il via alle meravigliose avventure di Pinocchio, il burattino di Carlo Collodi. C'era una volta, invece (ma per fortuna ora non c'è più, è il caso di dirlo subito a chiare lettere), un semplice quanto banale... pregiudizio. «Idea, opinione concepita sulla base di convinzioni personali e prevenzioni generali - spiega il vocabolario Treccani -, senza una conoscenza diretta dei fatti, delle persone, delle cose, tale da condizionare fortemente la valutazione, e da indurre quindi in errore». Sì, era il pregiudizio che voleva la Sardegna povera di fiabe popolari, ricca di nuraghi, questo sì, di pietre e graniti, ma non di storie e novelline imbevute di tradizioni e ricche di folklore. Tanto meno, fino a una manciata di decenni fa, la Sardegna era vista come terra ideale di produzione fantastica né come patria di grandi oratori capaci di calamitare le attenzioni di piccoli monelli discoli o di qualunque altra simpatica canaglia che si aggirava nelle case e tra le viuzze polverose dei paesini dell'isola. Nulla di più falso e sbagliato. Nulla di più posticcio e deleterio. Altroché se la Sardegna è terra di fiabe! Un'isola immersa nel cuore del Mediterrano e in balia dei quattro venti... figurarsi se quest'isola poteva essere povera di storie e personaggi fantastici! Ce n'erano ieri, e fortunatamente ci sono ancora oggi, a caterve a dire il vero, e per tutti i gusti. Basta dare un'occhiata ai titoli e ai sommari dei libri in uscita con La Nuova Sardegna: "Fiabe di Sardegna". Una raccolta imperdibile, in dieci coloratissimi volumi illustrati, per portare i bambini in un mondo ricco di magia e antica saggezza. È la nuova iniziativa editoriale del nostro quotidiano, ogni giovedì in tutte le edicole (il 16 aprile il primo libro al prezzo speciale di 3,50 euro, più il prezzo del giornale).
Fate, streghe e stregoni. Orchi, tesori, animali e satanassi. Santi e pastori. E persino... udite, udite... re e regine, principi e principesse. «Ma allora?» direte voi contrariati. Ebbene sì, cari ragazzi e ragazze, stavolta vi ho gabbato (ma a fin di bene, s’intende), perché in fondo in fondo voi avete sempre ragione e ne sapete sempre una più del diavolo e degli adulti messi insieme. Sapete bene, voi altri, che la Sardegna è un’isola meravigliosa popolata di tanti tipi in gamba nati e cresciuti tra i meandri della fantasia, delle credenze, della superstizione, degli usi e costumi, ma anche della vita reale di tutti i giorni.
La Sardegna, del resto, è una terra con un ricchissimo repertorio orale tramandato di padre in figlio, di nonno in nipote. Lo testimoniano “Sos contos de foghile” raccolti e pubblicati da Francesco Enna, amatissimo maestro sassarese che già trentacinque anni fa girava con il registratore in mano per non perdere una sola parola dalla viva voce degli anziani. «In questi contos si muove un intero immaginario collettivo che va indietro per millenni e millenni, o, se si vuole, inizia a datare dalla notte dei tempi. Da quando, prima che la scrittura, gli uomini e le donne, i vecchi e i bambini, ebbero l’uso della parola» ha scritto Natalino Piras sulle pagine del Messaggero sardo.
Parola e comunità è non a caso il binomio che ha fatto la storia della Sardegna. Racconta Michelangelo Pira nel suo romanzo capolavoro in lingua sarda bittese uscito postumo nel 1983, “Sos sinnos”: «Millos totu cantos omines e feminas, mannos e minores de sa concheddas i’ s’umbra de su cherchu mannu ei su deinu chi tanca’ sos ocros, si tappas sas oricras chi’ sa chera e cuminzat: at a bennes sa die chi s’omine at a bolare» (“Eccoli tutti quanti uomini e donne, grandi e piccoli delle grotte all’ombra della quercia grande e l’indovino che chiude gli occhi, si tappa le orecchie con la cera e inizia: verrà il giorno che l’uomo volerà”, la traduzione dal sardo all’italiano è a cura di Natalino Piras).
Una scena primitiva e tipica dei racconti del focolare delle Mille e una notte vissute in Sardegna.
Eppure, anche una mente colta, raffinata e rigorosa come quella di Italo Calvino scrisse che «la Sardegna non ha grandi raccolte; ma il modo di raccontare triste, magro, senza comunicativa, e pur sempre con una lama d’ironia, mi pare caratteristico dell’isola». Certo, il riferimento esplicito era alle raccolte folkloristiche che allora scarseggiavano. Era l’autunno del 1956 quando l’autore del “Visconte dimezzato” (del 1952) pubblicò la prima edizione delle “Fiabe italiane” uscite nella collana I Millenni di Einaudi.
Una antologia imponente mai realizzata prima
in Italia che ammiccava espressamente al modello dei fratelli Grimm e della Foresta nera. Nel Paese di Pinocchio non c’era stato ancora nessuno che avesse raccolto, ordinato e rielaborato con successo il repertorio del popolo come invece avevano fatto già nella prima metà dell’Ottocento Jacob Ludwig Grimm e Wilhelm Karl Grimm, in Germania.
«Ho lavorato su materiale già raccolto, pubblicato in libri e riviste specializzate – annotava Italo Calvino –, oppure reperibile in manoscritti inediti di musei e biblioteche. Non sono andato di persona a farmi raccontare le storie dalle vecchiette, e questo non perché non esistano più in Italia “luoghi di conservazione”, ma perché già in tutte queste raccolte dei folkloristi soprattutto dell’Ottocento avevo una grande mole di materiale sul quale lavorare, e tentativi di raccolta originale non so se m’avrebbero dato dei risultati apprezzabili ai fini del mio libro».
Le raccolte di fiabe esistenti in Italia fino a quel momento, insomma, erano andate in ordine sparso, ognuna per conto proprio senza una linea direttiva che le accomunasse per il grande pubblico dei lettori.
La Sardegna finì così con appena sette fiabe tra le duecento della antologia scritta da Calvino. “Fra Ignazio (Campidano)”; “I consigli di Salomone (Campidano)”; “L’uomo che rubò ai banditi (Campidano)”; “L’erba dei leoni (Nurra)”; “II convento di monache e il convento di frati (Nurra)”; “La potenza della felce maschio (Gallura)”; “Sant'Antonio da il fuoco agli uomini (Logudoro)”. Nuoro e le zone interne non esistevano proprio, benché anche il Premio Nobel per la letteratura Grazia Deledda avesse in varie occasioni pubblicato diverse fiabe e leggende della Sardegna, “contos antigos” o “contos de foghile” che dir si vogliano.
Anche Antonio Gramsci nelle sue lettere dal carcere
inviate ai figli, aveva avuto la forza di raccontare fiabe e favole di ispirazione popolare (la raccolta “L’albero del riccio” venne pubblicata per la prima volta nel 1948, dalle edizioni Milano/Sera). Le “Fiabe italiane” di Calvino, tuttavia, si erano fermate alle “Novelline popolari sarde” (tutte campidanesi) di Francesco Mango, del 1889, e soprattutto alle “Leggende e tradizioni della Sardegna” di Gino Bottiglioni, del 1922. «Certo, nel 1956, quando le fiabe di Calvino vennero pubblicate, non c’erano ancora i lavori di ricerca sulla narrativa tradizionale in Sardegna promosse da Alberto Cirese con le sue “Tradizioni orali non cantate”, raccolte per la Discoteca di Stato» ricorda Cristina Lavinio sul Manifesto sardo. «E non c’erano ancora, per esempio, le fiabe pubblicate da Chiarella Rapallo, da Enrica Delitala, da Francesco Enna» va avanti la professoressa di Linguistica educativa dell’Università di Cagliari. E non c’erano neppure tutte le raccolte curate da Dolores Turchi, come pure non c’erano tutti quei libri pubblicati poi a più riprese, e con un discreto successo di mercato, sia da editori nazionali, dalla Mondadori alla Giunti, dalla Fabbri alla Newton Compton editori, sia da editori marcatamente sardi, dal sassarese Carlo Delfino alla cagliaritana Condaghes.
Ormai sono centinaia i titoli a disposizione
dei lettori. Testi che «rivelano quanto Calvino si sbagliasse nel rilevare la relativa povertà del repertorio fiabistico sardo, mentre coglieva nel segno nel vederne l’immancabile ironia sottotraccia» sottolinea ancora Lavinio ricordando un altro contributo fondamentale, quello di Francesco Carlini, che nel 2011 aveva pubblicato trenta fiabe della tradizione sarda, “Sa domu de s’Orcu”.
Le raccolte, più o meno scientifiche, insomma, non sono mancate. E non sono mancate neppure le prove d’autore. Pienamente riuscita quella dello scrittore per ragazzi Alberto Melis con le sue “Fiabe della Sardegna”, Giunti, prima edizione 1998. C’è voluta la doppia firma Sergio Atzeni-Rossana Copez, tuttavia, per sgomberare il campo da ogni velo di tristezza e malinconia attribuita ai sardi musoni sempre e comunque. Le loro “Fiabe sarde”, pubblicate per la prima volta nel 1978 da Zonza editore (con presentazione di Albino Bernardini, il più grande scrittore sardo del Novecento per bambini e ragazzi, guarda caso grande amico di Gianni Rodari) sono state poi ripubblicate nel 1996 e poi ancora a più riprese dalla Condaghes. Soltanto scrittori come Atzeni e Copez potevano ribaltare il finale, c’è da dirlo, e rendere empatici personaggi popolari che empatici non lo erano mai stati.
Persino il diavolo della famosa fiaba di Sant’Antonio abate che rubò il fuoco all’inferno per donarlo agli uomini assume contorni simpatici e divertenti. Il maialetto che scorrazza tra le fiamme e creando scompiglio tra i forconi merita davvero un sorriso e un bacio in fronte.