La Nuova Sardegna

L'intervista

Totò Cascio dall’Oscar alla malattia: «La gloria, la prova e la rinascita»

Alessandro Pirina
Totò Cascio dall’Oscar alla malattia: «La gloria, la prova e la rinascita»

Il bimbo protagonista di “Nuovo cinema Paradiso” si racconta 34 anni dopo

4 MINUTI DI LETTURA





Il suo volto fa parte della storia della settima arte. Quel bambino che con occhi sognanti osservava il vecchio proiezionista della piccola sala di paese è uno dei simboli del cinema italiano, di quello che ha messo insieme pubblico e critica, ha oltrepassato i confini, ha fatto incetta di premi. Nell’immaginario collettivo, anche a 34 anni di distanza, Totò Cascio è “Nuovo cinema Paradiso”.

[[atex:gelocal:la-nuova-sardegna:site:1.100107712:gele.Finegil.Image2014v1:https://www.lanuovasardegna.it/image/contentid/policy:1.100107712:1665554181/image.jpg?f=detail_558&h=720&w=1280&$p$f$h$w=a952e14]]

Nel frattempo, però, il giovane attore, dopo il successo travolgente del film, si è dovuto fermare per motivi di salute. Una retinite pigmentosa gli ha fatto perdere la vista quasi del tutto, e lo ha costretto anche a lasciare il cinema. Per anni Cascio ha tenuto per sé questo segreto, ma ora, a 43 anni, ha deciso di condividerlo in un libro, “La gloria e la prova”, Baldini + Castoldi, che presenterà venerdì a Cagliari, alle 17 nella sala Maria Lai dell’Università.


Totò, cosa l’ha spinta a scrivere questo libro?

«Erano anni che avevo questo desiderio, che sentivo questo bisogno. Ma non ero ancora pronto per parlare della mia “prova”. Quanto ero già uscito dal labirinto a spingermi con la sua energia ed empatia è stata una chiacchierata con Veronica Berti, la moglie di Andrea Bocelli. E così nasce questo libro scritto a quattro mani con Giorgio De Martino. Non nego che dopo il primo capitolo ho pianto».

Partiamo dalla “gloria”: che bambino era Totò?

«Come adesso: spontaneo, naturale. Ho avuto la fortuna di finire sotto la guida di Giuseppe Tornatore che ha fatto uscire fuori il mio talento. Lui, glielo dico sempre, è stato il mio coach».

Come avviene l’incontro con Tornatore?

«Lui aveva scelto la piazza di Palazzo Adriano, il mio paese, per girare il film. Cercava bambini nei vari paesi intorno. Alle selezioni eravamo circa 300. Venne a scuola la sorella di Tornatore con il fotografo di scena e scattò qualche foto. Ho scoperto solo da poco che all’inizio lui mi aveva scartato. A maggio sono andato a trovarlo a Roma e gli ho chiesto: “Peppuccio, perché hai preso proprio me?”. Mi ha raccontato che nella foto avevo gli occhiali e lui mi aveva escluso. Fortunatamente non si innamorò di altri bambini, poi riprese in mano la mia foto e disse: “fategli un paio di scatti ma senza occhiali”. Quando li vide disse al produttore Franco Cristaldi: “è lui”. Feci anche due provini, ma ormai la parte era mia».

Cosa ricorda del set?

«All’inizio fu traumatico. Era la fine della scuola, c’era caldo e io volevo andare a giocare a pallone con i miei compagni. Man mano Tornatore mi ha dato fiducia e abbiamo trovato un compromesso: dovevo essere disciplinato sul set, ma nelle pause avevo il permesso di giocare a pallone ma senza farmi male».

Com’era Philippe Noiret?

«L’unico neo era che parlava solo francese. Ma era un uomo affettuosissimo, curioso, si era introdotto benissimo».

“Nuovo cinema Paradiso” le dà il successo internazionale: arriva l’Oscar e lei vince il Bafta come miglior attore non protagonista. Non ha rischiato di essere travolto dal successo?

«A Londra c’era anche Al Pacino, lascio solo immaginare l’emozione. Fortunatamente non mi rendevo conto di quello che stavo vivendo, perché se sei consapevole di essere una macchina da soldi da spremere perdi la spontaneità. Ma ora quando leggo che gli unici italiani ad avere vinto il Bafta siamo io e Benigni un po’ di effetto me lo fa».

Dopo “Nuovo cinema Paradiso” arrivano “Diceria dell’untore”, Tessari, ancora Tornatore . E poi Celentano con “Jackpot”.

«Era il mio mito da quando guardavo i suoi film con Ornella Muti, di cui ero innamorato. Lo ricordo come una persona squisita, semplice, alla mano».

Quando inizia il periodo della “prova”?

«Già quando andavo in terza elementare non riuscivo a vedere la lavagna. Feci delle visite a Palermo. Continuavo a girare i film, ma continuavano i problemi. Andammo in Svizzera e il responso fu: retinite pigmentosa, che condivido con mio fratello maggiore. Da Losanna a Londra, poi a Boston: anche lì il verdetto fu lo stesso. All’inizio cercai di fingere. Non volevo condividere il problema neanche quando lasciai il cinema. Solo quando ho toccato il fondo ho capito che era l’ora di ripartire. Il sottotitolo del libro, “Nuovo cinema Paradiso 2.0” significa proprio ripartire, senza paura».

Com’è scattata la rinascita?

«Ho chiesto aiuto. Vedevo in tv personaggi come Annalisa Minetti, Alex Zanardi, Bebe Vio che erano riusciti a trasformare il loro grido di dolore in forza. Mi hanno contagiato. E questo è anche il messaggio del mio libro».

Il cinema si è fatto sentire?

«Qualche proposta è arrivata. Un regista siciliano mi ha offerto un ruolo che posso fare e abbiamo trovato la quadra».
 

Primo piano
L’inseguimento

Notte folle a Sassari: salta il posto di blocco e poi si schianta contro i carabinieri

di Luca Fiori
Le nostre iniziative