La Nuova Sardegna

L’intervista

Daria Bignardi: «Un’utopia abolire il carcere? Forse, ma così com’è non serve»

di Alessandro Pirina
Daria Bignardi: «Un’utopia abolire il carcere? Forse, ma così com’è non serve»

La scrittrice ritorna in libreria con Ogni prigione è un’isola

10 aprile 2024
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Le serie televisive hanno aperto le porte delle carceri italiane, ma si tratta di fiction, di sceneggiature e non storie vere. Al contrario Daria Bignardi nel suo nuovo libro, “Ogni prigione è un’isola”, edito da Mondadori, racconta quello che accade realmente all’interno delle patrie galere. Una testimonianza diretta, la sua, perché lei le carceri le vive dal di dentro da diversi lustri.

Daria, nelle prime pagine del suo libro scrive: il carcere è l’essenza della vita. Come nasce la sua esperienza trentennale nelle carceri italiane?

«È come se ci fosse sempre stato, ci vado da tanto tempo, ma scrivendo il libro mi sono accorta che il primissimo contatto l’ho avuto da bambina, a Ferrara, quando ci passavo accanto ogni giorno per andare a giocare da una mia compagna che ci abitava accanto. Il maestro ci aveva detto che in quel carcere era stato rinchiuso anche Giorgio Bassani, il più importante scrittore ferrarese, perché era antifascista, e mi sembrava una cosa strana, che mi incuriosiva».

Nel libro parla dei tanti incontri avuti negli anni. Quali sono quelli che non potrà mai dimenticare?

«Tutti quelli di cui scrivo e che sento ancora oggi, ma soprattutto due persone che non ci sono più: il detenuto americano detenuto nel braccio della morte col quale mi scrivevo da ragazza, Scotty, e Manolo, un ex detenuto col quale avevo tenuto diversi incontri nelle scuole».

La situazione nelle carceri italiane è drammatica, ma interessa a pochi, quasi a nessuno. E anche la politica – lo si evince dalla chiacchierata con Luigi Pagano, tra l’altro ex direttore anche di Badu ‘e carros – preferisce glissare. Occuparsi di detenuti fa perdere voti?

«Fa perdere voti a chi cerca di proporre amnistie, indulti, pene alternative per cercare di ridurre il sovraffollamento disumano per il quale siamo stati condannati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo. Ne fa guadagnare a chi dice “inaspriamo le pene” o “buttiamo la chiave”».

Cita “Ariaferma”, il film di Leonardo Di Costanzo girato nell’ex carcere di San Sebastiano a Sassari in cui si affronta il tema del tempo sospeso, della non vita dei detenuti e di quella degli agenti. Dalla sua trentennale esperienza nelle carceri che idea si è fatta del rapporto tra detenuti e guardie?

«I detenuti sono i primi a capire i problemi e le difficoltà degli agenti, visto che condividono gli stessi enormi problemi strutturali del carcere. In generale agenti e detenuti si rispettano molto più di quanto si immagini».

Anche lei, come Luigi Manconi e Gherardo Colombo, è favorevole all’abolizione del carcere: è un’ipotesi realistica o un’utopia?

«Ci sono utopie che servono ad alimentare riflessioni e cambiamenti. Il carcere, così com’è, non serve, anzi, peggiora le cose. Non lo dico io, lo dicono i dati sulle recidive, i suicidi, i costi umani, economici e sociali».

Ogni carcere ha una storia, una vita a sé. Cosa le è rimasto delle visite all’Asinara o altre carceri sarde?

«La prima volta che sono andata all’Asinara è stata indimenticabile. Avevo letto molto di quel carcere, che è stato feroce ma anche luogo di grandi vicende umane. Tanta bellezza, soprattutto quella della natura, e tanta bruttezza insieme fanno uno strano effetto. Ci tornerò in agosto per il Festival, a parlare di questo libro. Sarà emozionante».

“Mare fuori” è una serie di successo che propone una versione un po’ edulcorata della situazione negli istituti minorili. Può essere considerata comunque un contributo a parlare di carceri?

«Spero di sì».

Sin dall’epoca di “Tempi moderni” ha portato il tema dei detenuti in tv. Da direttrice di Rai 3 ha voluto il programma “Sono innocente”. Cosa può fare la tv per abbattere quei muri tra chi sta dentro e chi è fuori?

«La tv può fare molto quando è fatta bene. È ancora un mezzo molto potente, che arriva a tutti».

Ha scritto questo libro a Linosa, il precedente lo aveva scritto in Gallura. Ancora un’isola. Il titolo del libro è “Ogni prigione è un’isola”. Quali sono le similitudini tra carcere e isola?

«Sono luoghi lontani, estremi, pieni di difficoltà ma anche di umanità e grandi identità. Sembra che proteggano ma condizionano».

Se ogni prigione è un’isola, a suo avviso, anche ogni isola è una prigione?

«Un po’ sì. Tranne la Sardegna che è un paradiso, come diceva De André».

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