La Nuova Sardegna

Intervista

Laura Morante: «Amo l’opera, odio le rivisitazioni»

di Alessandro Pirina
Laura Morante: «Amo l’opera, odio le rivisitazioni»

L’attrice domani a Tempio porta in scena le donne pucciniane: «Trovo ridicole le modernizzazioni. Non sono più andata a teatro dopo avere visto il Don Giovanni in tenuta da jogging»

09 luglio 2024
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Laura Morante omaggia le donne di Puccini. La grande attrice, interprete di decine di film d’autore, porta in scena le protagoniste delle opere del grande compositore di cui quest’anno cadono i cento anni della morte. L’appuntamento con “Prime donne” è per domani alle 21.30 nell’anfiteatro delle fonti di Tempio, all’interno del festival De Muro. Donne ognuna con una diversa personalità che si riverbera attraverso la trama del destino al quale il Maestro e i suoi librettisti la affidano. Storie immense che sono raccontate da Laura Morante, narratrice eccezionale, e dall’eccellenza della musica italiana.

Lo spettacolo mette insieme prosa e musica: come nasce?

«È il centenario della morte di Giacomo Puccini ed è venuta l’idea di fare questa cosa. Elena Marazzita, produttrice di Aida Studio, mi ha chiesto di scrivere questi monologhi sulle quattro eroine pucciniane».

È stato difficile trasformare le opere in prosa?

«La base è sempre la storia, bisogna trovare un modo per raccontarla. Diciamo che è stato un po’ laborioso, ma partivo da una buona base».

Tosca, Turandot, Manon, Madama Butterfly: cosa accomuna queste donne?

«Non saprei. L’unica che non fa una fine tragica è l’unico personaggio inizialmente negativo, ovvero la Turandot. È un personaggio inquietante che viene da una fiaba, responsabile di tante morti. Tutte le altre hanno un finale tragico tipico del melodramma verdiano».

Tra le eroine pucciniane c’è una sua prediletta?

«Madama Butterfly. Forse perché il libretto è molto bello a differenza degli altri. Parlo dal punto di vista poetico. Per gli altri è stato un lavoro più difficile, così non reggevano la prosa».

Il suo legame con l’opera?

«Mi piace molto, ma vado sempre più raramente. Non sopporto la modernizzazione. La trovo intollerabile, ridicola, didascalica, stupida. Mi provoca un fastidio terribile. Ho detto basta dopo avere visto il Don Giovanni in tenuta da jogging».

Ad agosto sarà a Olbia con Notte sfolgorante di tenebra sulle figure femminili della tragedia greca. Le sue estati sono sempre dedicate al teatro?

«Tutta l’estate no, un po’ di vacanza la prenderò anche io».

Ha detto che avrebbe voluto girare più film pieni di passione ma non è accaduto. Il ruolo più passionale avuto sul grande schermo?

«Al cinema sicuramente il ruolo nel film di Michele Placido, “Un viaggio chiamato amore”. A teatro quello che mi sono scritta io su Sarah Bernhardt».

Quest’anno in tv è stata Alda Merini. L’aveva conosciuta?

«C’è stato un momento in cui avrei dovuto interpretare delle sue poesie, ma alla fine non ci siamo mai incontrate».

Com’è stato interpretarla?

«Io sono arrivata in corsa, il ruolo doveva farlo un’altra attrice. Ho avuto pochissimo tempo per prepararmi. Non l’avevo mai vista. Avevo solo letto parte delle sue poesie, ma non la conoscevo se non attraverso qualche foto. Non l’avevo mai vista muoversi. Quando mi sono trovata a doverla interpretare intorno ai 45-50 anni mi sono chiesta: e ora che faccio? Faenza non voleva una imitazione. Ho messo solo una cosa per sembrare più grossa e una parrucca. Mi sono concentrata sul suo modo di parlare, aveva un ritmo particolare, come se ascoltasse una voce, come se avesse un auricolare che le trasmettesse le parole».

Ha lavorato con Bertolucci, Moretti, Amelio, Monicelli, Salvatores, Virzì, Placido, Muccino, Verdone, Avati … e potrei continuare. Un regista con cui avrebbe voluto lavorare?

«Sono parecchi. Potrei partire dai fratelli Coen».

Dopo Ciliegine e Assolo la rivedremo dietro la macchina da presa?

«Erano stati comprati i diritti di una mia novella, avevamo anche scritto la sceneggiatura, ma non poi non abbiamo trovato i finanziamenti».

Eugenia e Agnese, sue figlie, entrambe attrici, le chiedono consigli?

«Ci si consiglia reciprocamente, non in modo continuativo. Succede a me e succede a loro. C’è molta reciprocità, siamo sullo stesso piano».


 

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