La Nuova Sardegna

L’intervista

Simona Cavallari: «I miei ricordi più belli sono a Posada. Amo il set, ma ho pensato prima ai figli»

di Alessandro Pirina
Simona Cavallari: «I miei ricordi più belli sono a Posada. Amo il set, ma ho pensato prima ai figli»

L’attrice romana in tv con “Storia di una famiglia perbene” si racconta tra carriera e amore per l’isola: «Le estati in Sardegna con i miei 13 cugini»

19 ottobre 2024
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Il talento c’è, la bellezza pure. Forse le è mancata quella voglia di diventare a tutti i costi la numero uno, la più di tutte. Le occasioni le ha avute, ma non è nel dna di Simona Cavallari, che, sì, ama il suo lavoro, stare sul palco, sul set, ma la sua quotidianità, i figli, la famiglia, gli amici valgono molto più di copertine e feste vip. Era così ai tempi della Piovra, di Squadra antimafia, lo è anche ora che l’attrice romana, con mamma di Posada, è tornata in tv protagonista di “Storia di una famiglia perbene”, il venerdì in prima serata su Canale 5.

Simona, 53 anni, 42 di carriera. Che effetto fa?

«L’altro giorno sono andata all’Inps per capire se posso andare in pensione (ride, ndr). I miei contributi risalgono al 1982. Avevo 11 anni, feci “Colomba” per la Rai. Allora si chiamavano sceneggiati: altri ritmi, altri budget, altri tempi. Un altro tipo di tv».

Storia di una famiglia perbene. Possiamo definirla una serie in cui sentimenti e impegno civile vanno di pari passo?

«È uno spaccato della Puglia dei primi anni ’80, quando la popolazione partecipava al contrabbando delle sigarette, una cosa quasi folkloristica. Quando poi è arrivata la droga le persone perbene si sono tirate fuori».

C’è qualcosa di Simona nel personaggio di Teresa?

«Di certo non la sottomissione per il marito. In qualche cosa, però, mi ricorda mia nonna. Anche in Sardegna c’era una società patriarcale, ma in realtà era mia nonna a decidere tutto. In quello mi ci ritrovo. E poi è sempre dalla parte dei figli. Io sono un po’ così. Mia sorella dice: se rinasco voglio essere figlia tua».

Che ruolo ha avuto la Sardegna nella sua infanzia?

 «I miei ricordi più belli sono lì. Eravamo 13 cugini: tre stavano a Posada, io e gli altri dieci arrivavamo dal continente. Stavamo tre mesi con i nonni. Le feste al mare nella casetta a Su Tirialzu. Noi tutti sporchi di pomodori mentre facevamo i pelati. Erano anni belli, sani».

Se pensa a Posada cosa le viene in mente?

«Mio zio che ci raccontava sempre le stesse cose: la terra, le vendemmie, i pomodori che coltivava. O quando mi hanno fatto indossare il costume sardo e io ero tutta contenta...».

Cosa voleva fare da grande?

«La ballerina. Ricordo il mio primo e unico spettacolo di danza classica, sento ancora il profumo del palco. Il teatro, che ancora oggi mi affascina, mi aveva già rapita. Non è una cosa che ho scelto. Anche se forse non ho avuto il risultato che il mio talento meritava. Non ho mai avuto questo fuoco sacro. Ho tanti amici che vivono per il cinema. Anche io, ma come artigiana».

Primo spot a 7 anni, prima serie a 11, primo film da protagonista a 15. Cosa prova quando ripensa a quella ragazzina?

«Ero totalmente inconsapevole. Quando mi presero per “Pizza connection” ero scontenta perché dovetti andare via dalla Sardegna, la prima dei cugini a partire. “Io ad agosto voglio restare qua”, dicevo. Per fortuna sia io che mia madre l’avevamo presa come un gioco. E a 18 anni ho potuto rendermi indipendente, a prescindere dalle scelte giuste o sbagliate che fossero».

A 19 anni La piovra 4, la fiction che ancora oggi detiene il record di ascolti.

«Fu il produttore Sergio Silva a volermi. Con lui avevo fatto tanti sceneggiati: Mino - Il piccolo alpino, Diventerò padre con Morandi. Dai 16 ai 22 anni ero una macchina da guerra, a volte consigliata male. Ma la tv pagava bene e le persone dietro di me mi spingevano verso quello».

Essere un’attrice di serie tv l’ha penalizzata al cinema?

«C’era del razzismo verso noi attori della tv. In più ai tempi chi mi stava accanto pensava a spremermi, non alla qualità. Tornando indietro mi godrei di più la giovinezza e farei altre scelte».

Com’era stare sul set con Michele Placido?

«È un attore generoso, non di quelli che stanno a rubarti il primo piano. Mi ha insegnato i trucchi del mestiere. Come anche Vittorio Gassman. Mi diceva: devi leggere, leggere, leggere. In effetti lui stava sempre leggendo».

Il successo tv, il cinema con Bellocchio. A un certo punto i riflettori un po’ si spengono.

«Ero stata all’estero. Il successo della Piovra mi aveva reso popolare in Germania dove ho fatto tre film: era strano essere riconosciuta a Berlino. O a Mosca. E poi sono arrivati i figli. È stata un po’ una mia scelta: ho deciso di fermarmi e stare loro dietro, anche perché il padre (Daniele Silvestri, ndr) era sempre in tour. Poi sono arrivati i 40 anni e i ruoli per le donne scemano...».

Il successo ritorna con Squadra antimafia.

«Di quello sono stata felicissima. Mi ha dato la possibilità di andare al poligono, guidare moto, barche. Ero reduce dal successo de “Il capo dei capi” e Valsecchi mi prese senza neanche provino. È una serie che mi ha dato grandi soddisfazioni».

E lì è iniziato il sodalizio con Giuseppe Zeno...

«Siamo alla quarta serie. Abbiamo iniziato che voleva sotterrarmi viva, poi fidanzati in “Le mani sulla città” e ora marito e moglie. Ci divertiamo sul set».

La mancata riconferma a Viola di Mare invece l’ha vissuta come un tradimento.

«Mi è dispiaciuto. Avevo anche vinto un premio. E poi finalmente un ruolo leggero».

In effetti, lei ha sempre parti drammatiche.

«Questa è una pecca del cinema italiano, non solo con me. Le donne vengono inquadrate in un ruolo, si cercano attori che somigliano al personaggio. In America si rischia molto di più».

Un no che le ha fatto male?

«Quando ero piccola feci un provino con Gus Van Sant, ma andai impreparata. E poi Moulin Rouge, ma è stato bello anche aver fatto solo il provino. Sul palco il regista Baz Luhrmann e io, lui al piano e io che cantavo la canzone di Maria Maddalena di Jesus Christ Superstar. Non mi ha scelta, ma è stato bellissimo».

Un sogno nel cassetto?

«Un musical. Il teatro mi dà sempre soddisfazione e potrei tornare a fare qualche balletto. Non sarebbe male mettermi in gioco in questo vecchio sogno».

E la Sardegna?

«Purtroppo vengo sempre meno. Ho i miei cugini a Posada, i parenti di mio nonno a Bitti. Sono orgogliosamente sarda, capisco perfettamente il sardo. Mia mamma in casa lo ha sempre parlato. Ancora oggi parla in sardo quando non vuole farsi capire. E i miei figli si arrabbiano: “nonna, ma che dici?”».

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