Tino Petilli non c’è più, il suo ricordo durerà finché dureremo noi
“Inconfondibile sagoma”, “voce di violoncello”, sono tante le definizioni per questo mattatore del palcoscenico, protagonista di un’arte scenica sarda applaudita anche fuori dai confini regionali
Tino Petilli non c'è più, l'inconfondibile sagoma e la voce di violoncello ci accompagnano nell'immediato ricordo e dureranno finché dureremo noi. Chi sa, ha l'occasione di dire la sua sull'arte d'attore. A me spetta testimoniare dell'umanità di questo mattatore passato da Dante a D'annunzio, da Krapp a Bukowski. Tino era buono. Il tormentone “cane”, inventato da lui, che gli ho carpito e porto a spasso ogni giorno per Stampace nella versione “cagnetto”, gli stava sulla pelle. I cani sono buoni, migliori gusci rispetto ai nostri contenitori del vacuo. Buono e curioso d'umanità era Tino. Fiutava gli esseri congeniali che incontrava. Per vanità, ma anche per studio. La pianta omo lo intrigava, così come la morte era sorella temuta ma fonte di professionale curiosità. Mi resta qui il suo posacenere.
Tino appartiene alla storia delle compagnie Teatro Sardegna, Crogiuolo e di alcune nazionali, da cui l'exploit Cuore di Comencini. In ciascuna ha lasciato il segno di un'individualità straordinaria. Corpo, voce...Un vero animale da palcoscenico. Traendo un bilancio dalla vicendevole esperienza teatrale sarda, c'eravamo rassegnati a contentarci dello sbrigativo “bravo” e del poco che veniva dal giornalismo; sempre amareggiati, se non peggio, dall'assenza pubblica. A proposito della quale, se una ventina d'anni fa fossero stati colti i frutti maturi del teatro sardo, una qualche struttura pubblica avrebbe risparmiato, come uscita di scena, all'anziano artista sfrattato di casa, dopo la perdita della moglie, il riparo in un lontano paese, in una casa di riposo.