La ceciata, una tradizione dal sapore autentico
A Sassari viene servita spesso in accoppiata con la sorella più “famosa”
Gemella forse meno rinomata della favata, ma capace di trovare tantissimi estimatori, soprattutto tra coloro che sono affetti da favismo. La ceciata rappresenta una validissima variante al piatto tipico del carnevale, tanto che spesso viene proposta in abbinata proprio con la favata. Importante: la ceciata di cui si parla non ha nulla a che vedere con la farinata di ceci popolarissima in Liguria e nel Sassarese, ovvero la fainé. A raccontarne i segreti è Rino Berdini, ristoratore sassarese che con il suo Terzo Tempo è da oltre un decennio un’istituzione in piazza Tola, non soltanto con le pizze.
«Proprio come per la favata – spiega – bisogna partire da un pentolone molto capiente. I ceci vanno tenuti a bagno per almeno 24 ore, ma se si arriva a lasciarli in ammollo anche per 36 ore è anche meglio. A quel punto si mettono a bollire nel pentolone, avendo cura di eliminare con un grande mestolo tutto ciò che viene a galla dalla bollitura: schiuma, residui e quant’altro». È qui che entra in ballo la carne. «Io, come tanti altri, utilizzo anche la cosiddetta carne salata, cioè i veri e propri scarti, come la testa, le zampe e il muso del maiale. Che non saranno elementi prelibati ma che contribuiscono a conferire un sapore unico al piatto. Quindi bisogna iniziare a mettere questi pezzi nel pentolone, continuando a pulire la superficie. E via via si inseriscono gli altri pezzi di carne». Ogni tipo di carne, ogni singolo pezzo, ha il suo tempo di cottura. E qui, esattamente come per la favata, l’occhio e l’esperienza dello chef fanno tutta la differenza del mondo.
«Certo, perché la polpa, le salamelle e tutto il resto hanno bisogno di un trattamento leggermente differente. Io a quel punto inizio a inserire il finocchietto selvatico, un cipollotto, il pomodoro secco e il peperoncino. In questo caso non troppo, io sono della “scuola” che non cucina troppo piccante. La bollitura dura complessivamente tra le 3 e le 4 ore, non bisogna avere fretta: il pentolone va ma bisogna intervenire continuamente. Fondamentale anche quella che a Sassari chiamiamo “la ciaggadura”, ovvero la fase in cui tutta la “sbobba” si riprende e si coaugla».
E il cavolo? «È l’ultimissimo passaggio. Il cavolfiore viene inserito poco prima di andare in tavola, senza anticipare troppo i tempi perché altrimenti c’è il rischio che faccia inacidire il resto. Gli basta un passaggio di 15-20 minuti in pentola per essere cucinato a puntino».
In realtà c’è un passaggio intermedio, che anche Rino Berdini adotta, come altri. «A me è stato insegnato che si ottiene un risultato migliore utilizzando anche un’altra pentola, dentro la quale mettere a bollire il cavolfiore, per poi travasare un po’ per volta la ceciata dal pentolone principale, aggiungendo via via tutto il contenuto. Un segreto? Ognuno ha il suo tocco magico e il suo segreto – conclude il cuoco sassarese –. Io dico sempre che la cosa più importante è avere la fortuna di trovare ceci buoni. Tutto il resto arriva dopo».
© RIPRODUZIONE RISERVATA