La Bardot sardo-veneta: «Così salvo i cani torturati»
Dopo le esperienze nel cinema e nella moda da tempo vive a San Pantaleo in una casa con vista mare popolata da randagi - FOTO
INVIATO A SAN PANTALEO. Ha vissuto cinque vite. Nell’ultima salva cani torturati, feriti, abbandonati. «Fellini mi diceva che ero troppo “pispoletta” per la parte che nella Dolce Vita fu poi affidata a Valeria Ciangottini, eppure nonostante gli occhi malandrini e quella mia aria sbarazzina io già allora avevo un’unica grande passione: non il cinema, ma gli animali. I randagi. I gatti. Tutte le bestie. Persino i topi». L’ex attrice Donatella Turri, due matrimoni alle spalle e nessun figlio, ha 69 anni, ne dimostra 20 di meno ed è sempre bellissima. Sardo-veneta, sin da piccola legata all’isola, abita da decenni in Gallura. Prima a Porto Cervo. Adesso sulle colline di San Pantaleo. Dopo tante esperienze internazionali fatte alle Seychelles, a Ischia, a Saint Tropez e tra Roma e Milano anche nella moda, oggi è questo il suo regno: un gommone di cinque metri all’ancora e una casa con una meravigliosa vista sul mare della Costa, popolata da undici meticci raccolti per strada e tre micioni dimenticati dai vecchi padroni che ti guardano con l’aria di saperla lunga.
La prima vita. Sembra uscita da un romanzo la storia di Maria Donatella Turri Gandolfi, questo il suo nome completo. Di madre veneziana (la signora Aldina, che poi avrebbe spesso accompagnato la figlia minorenne sul set), l’ex attrice è nata nel marzo 1943, due mesi dopo la morte improvvisa del padre, padovano. «Mamma al momento del parto venne trasportata in calesse da Riccardo Bacchelli, l’autore del Mulino del Po», ricorda lei oggi tramandando i racconti di famiglia. «E sin da bambina ero scatenata: via, in strada, sempre dietro a barboncini e cuccioli», aggiunge.
La seconda vita. «Quando avevo 14 anni, dopo un primo trasferimento a Bologna, mia madre si sposò con quello che sarebbe poi diventato il mio papà per sempre, l’imprenditore Gandolfi: politicamente vicino al Partito liberale italiano, operò in Sardegna con cantieri a Oristano e divenne a lungo il presidente regionale dei costruttori – continua l’ex attrice – È da quel momento che è nato il mio amore per l’isola. Mio papà, d’altronde, non era il tipico miliardario che pensa solo a fare soldi: si trovò un socio, lavorava 15 giorni al mese e i restanti li passava viaggiando con noi: “Perché dovrei faticare a far soldi se poi non ho il tempo per spenderli?”, era la sua frase preferita».
La terza vita. E il cinema? «Il debutto avvenne nel 1960 a Roma con “I dolci inganni” dopo un provino fatto al Liceo Internazionale dove ancora studiavo» - dice Donatella Turri – Lo stesso anno ho partecipato a “Risate di gioia”, nel 1961 a “Che gioia vivere” e nel ’62 ho fatto la protagonista in “La cuccagna”. È sul set di quest’ultimo film, ritratto in controluce dell’Italia del boom economico, che ho conosciuto Luigi Tenco. All’inizio mi considerava una pariolina antipatica. Poi, prima che si uccidesse a Sanremo, siamo diventati amici. Ma non siamo mai stati fidanzati, com’è stato scritto».
La quarta vita. Perché è finita così presto con il mondo della celluloide? «Guadagnavo bene, lavoravo poco, ma non faceva per me: in giro c’erano troppi palloni gonfiati. E la mia famiglia era più che benestante di suo. Mi sono guardata attorno. Ho frequentato il Piper. Sono diventata una delle ragazze di Bandiera Gialla. E mi sono divertita un sacco con Arbore e Boncompagni. Più avanti, con un’amica, ho rilevato la Documentofilm. C’erano frammenti in bianco e nero di estremo interesse, anche sulle miniere del Sulcis. Dopo averli catalogati e sistemati, li abbiamo venduti al Dipartimento storia-educazione della Rai». Negli anni ’80 e ’90, mentre si dedica a creazioni di moda e franchising, sposa Giancarlo Gorrini, assicuratore che dopo Tangentopoli chiamò in causa Di Pietro per il famoso caso della Mercedes (l’allora pm venne in seguito scagionato da tutte le accuse). Da lui si è separata anni fa.
La quinta vita. Molto prima, però, il trasferimento definitivo nell’isola. «Ho avuto a lungo un appartamento a Porto Cervo, ma l’ho venduto per comprare questa tenuta di quasi due ettari a San Pantaleo dove i cani possono stare meglio – spiega oggi Donatella – Qui a casa, l’ho chiamata Abba Ilde, vivono randagi che in passato sono stati sottoposti a sevizie feroci». Adesso hanno età comprese tra i 10 e i 2-3 anni. Con loro, un paio di cuccioli che presto saranno dati a nuovi proprietari. Mentre due cani da caccia abbandonati da automobilisti sulla provinciale che porta al paese sono stati “alloggiati”, sempre a cura di Donatella, in altrettante cucce lungo la viuzza che porta alla sua abitazione. Ma per via dei continui Sos che arrivano dalla Lida di Olbia la residenza dell’ex attrice è una specie di polo per aiutare animali sofferenti. Dove i super felini Alice, Zazà e Taitù dimostrano come a volte sia una leggenda il perenne conflitto cane-gatto. Dei randagi che tiene con lei Donatella conosce tutto: «Si chiamano Natalino, Virgola, Schumy, Ciro, Tobia, Belinda, Lothar, Arturo, Rambo, Lulù e Minnie. Uno era stato scaraventato nella campana del vetro: per segare il cassonetto abbiamo dovuto pagare il Comune. Un altro sepolto incaprettato, solo la testa fuori dalla terra. Un altro era finito nel laccio di un bracconiere. Un altro ancora aveva la colonna vertebrale frantumata, solo il 50% di possibilità di sopravvivere a un intervento durante il quale gli hanno applicato tante placche metalliche: per mesi sono stata china sul pavimento con lui per aiutarlo a camminare, è lui Schumy, ora è veloce come una lepre». Lei non lo dice, ma pur di salvarli ha speso decine di migliaia di euro. «Adesso non sono più ricca, eppure quando vedo un animale soffrire non so resistere e lo aiuto», si limita ad aggiungere prima di correr via verso la sua sesta vita.
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