La Nuova Sardegna

25 Aprile

Festa della Liberazione, è ora di fare pace con la storia

di Giacomo Bedeschi
Festa della Liberazione, è ora di fare pace con la storia

Ogni tanto dovremmo fermarci e pensare, chiedendoci se avremmo avuto lo stesso coraggio di chi ha combattuto, rischiando la vita, per il Paese che abbiamo ora

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Ottant’anni sono tanti. Sono il tempo di una generazione. Ma, spesso, non bastano per fare pace con la storia e creare una coscienza collettiva che sappia definire con chiarezza il torto e la ragione. Per chi, come tanti di noi, è nato dopo il 1945 la libertà è una condizione naturale, a tratti banale. Vivere in una democrazia repubblicana ci sembra un atto dovuto. Non è così, non dimentichiamocelo. Ogni tanto dovremmo fermarci e pensare, chiedendoci se avremmo avuto lo stesso coraggio di chi ha combattuto, rischiando la vita, per il Paese che abbiamo ora. Non dobbiamo dare risposte qui, ora, ma solo stimolare riflessioni, consapevoli che non tutti abbiamo lo stesso pensiero e che ancora esistono grumi di nostalgia con i quali faremo i conti probabilmente ancora a lungo. La festa che si celebra oggi, ottant’anni dopo, è però per dire forte no ai disinformati e poveri di conoscenza che ancora sostengono, speriamo più per ignoranza che per malafede, che il fascismo aveva fatto anche cose buone. Non è così.

“Non si può studiare la storia a rovescio. È già complicata così com’è”. Il lettore perdonerà la citazione poco dotta, ma persino il gufo Anacleto del cartone animato aveva capito che i fatti si possono interpretare, discutere, commentare ma non riscrivere. La festa di oggi è dedicata alla Liberazione, alla fine dei peggiori totalitarismi del Novecento, al sacrificio di tanti e ai loro valori, spesso politicamente contrapposti, che ci hanno portato fuori dalle dittature spingendoci verso un mondo libero che oggi dovremmo custodire sempre più gelosamente.

Dispiace dover bruciare tempo nelle polemiche che, a ogni ricorrenza, ci avvolgono con una avvilente inutilità. È accaduto anche quest’anno. Probabilmente accadrà ancora, per quell’inclinazione tutta nostrana a perderci nelle beghe da cortile. Sarebbe meglio, qualunque sia la personale opinione, riaprire il grande cassetto della storia rileggendosi la vicenda di Franco Cesana, che a soli 12 anni scappò di casa per raggiungere il fratello e unirsi alla Resistenza.

“Carissima mamma, non devi impensierirti per me che sto da re. La salute è ottima; solo un po’ precario il dormire. Per chiarire un increscioso incidente, ti avverto che non ho detto quella cosa che mi hai fatto giurare. Così, chiudo questa mia, raccomandandoti alto il morale, che ormai abbiamo finito. Affettuosamente ti bacia e ti pensa il tuo tesoro”. Quello che il piccolo Franco aveva giurato alla mamma di non dire mai era di essere ebreo. Dopo mesi lontano da casa la madre lo riabbracciò il 14 di settembre del 1944. Il ragazzino le promise di tornare a casa per il suo compleanno, sei giorni dopo. Morì però subito dopo, ucciso dai tedeschi, durante una missione. Il corpo fu recuperato a fatica e portato alla madre proprio il 20 settembre. Ecco, in questa piccola storia c’è il senso di tutto. Buon 25 aprile.

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