Il vescovo assolve don Alberto
Palmadula, monsignor Atzei: ha acquistato la casa nel pieno rispetto della legge
SASSARI. La storia del prete che acquista all’asta giudiziaria ha sollevato un polverone. Il vescovo di Sassari padre Paolo Atzei difende in maniera netta il sacerdote di Palmadula e condivide il suo operato. «In primo luogo manifesto il mio disappunto per il clamore sproporzionato che è stato dato alla vicenda, e per un titolo in prima pagina improprio nei termini: non c’è stato alcun blitz da parte di nessuno». Il vescovo conosceva la vicenda, perché padre Alberto me ne aveva parlato prima di partecipare all’asta e poi ad acquisto avvenuto. «Personalmente ritengo che egli abbia proceduto secondo legge. E questo credo voglia sottolineare il parroco quando dice che come cittadino può agire come ogni altro nel rispetto della legge, e come parroco certamente evidenziando aspetti ulteriori e più alti. Ora, non saprei tutti i precisi passaggi dell'asta avvenuta. Conosco, di riflesso, alcune conseguenze che avrebbero penalizzato qualche parente della vecchia proprietà. Ad asta avvenuta, stanti così le decisioni del giudice, è chiaro che chi vorrà riscattare la casa dovrà pagarne il costo e le spese legali. Cosa che non è finora avvenuta nonostante le promesse fatte anche a me da parte di qualche parente». Il parroco di Palmadula ha acquistato ad un’asta per un’eredità giacente uno stabile con un terreno nella via principale della borgata. Davanti al curatore però c’erano anche i nipoti del proprietario defunto del bene, che dopo tanti anni avevano racimolato i soldi per riprendere possesso della casa di famiglia. Il sacerdote quando è iniziata la gara ha deciso di non farsi da parte, ma rilancio dopo rilancio si è aggiudicato l’edificio per 80 mila euro, contro i 71mila dei nipoti. A Palmadula questa operazione finanziaria ha fatto molto discutere. «Con Padre Alberto devo valutare quale sia l'opinione dei suoi parrocchiani in merito alla scelta che sta facendo per dotare un territorio 'desertificato' per la mancanza di servizi essenziali, quali almeno quelli riguardanti la salute degli abitanti del territorio – dice il vescovo – Padre Alberto voleva unicamente fare dono di un presidio sanitario tipo residence, struttura quanto mai oggi suggerita anche a livello europeo per far stare accanto alle famiglie gli anziani bisognosi di cure. Dunque, la finalità dell'opera è quanto mai benefica e perciò meritoria, se la consideriamo in un tipo di contesto locale, tra l'altro anche per le esigenze di lavoro. Ritengo che coloro che la pensano in modo diverso dalla scelte di Padre Alberto, appoggiato dall'Arcivescovo, non credo siano così numerosi. Comunque, si può sempre verificare l'umore della gente e decidere circa l'opportunità o meno del progetto».
Anche il parroco di Palmadula padre Alberto ritorna sulla vicenda con alcune puntualizzazioni: «Voglio ribadire che quella casa non apparteneva a nessuno. Si trattava di un’eredità giacente, perché il bene era nelle disponibilità di uno zio morto nel ’95. Gli unici legittimi eredi, cioè le sue due figlie, avevano rinunciato alla casa, e questa era stata acquisita dal tribunale per coprire una serie di debiti lasciati dal padre. Le due anziane sorelle che ora gestiscono un piccolo bar nello stabile, ma che assolutamente non abitano lì, e i loro nipoti, che si sono presentati all’asta, non sono mai stati proprietari della casa, ma bensì affittuari. Perciò non possono vantare alcun diritto ed è improprio che parlino del bene come se si trattasse della loro casa. Io non sto mandando via nessuno. Quanto all’amicizia familiare tradita, voglio precisare un’altra cosa. È vero che io andavo spessissimo a cena da una delle due anziane sorelle, ma lo facevo per dovere di solidarietà. Era una donna sola che aveva bisogno del conforto del proprio parroco. Tra noi si era instaurato un rapporto di confidenza. Ma dalla solidarietà a un rapporto di amicizia familiare, la differenza è tanta. E io non mi sento di aver tradito nessuno». (lu.so.)