Segregato nella casa degli orrori ad Arzachena, il ragazzino si è tolto la vita
Aveva 16 anni, era stato affidato alla zia dopo la condanna dei genitori. La sua storia era venuta alla luce nel 2019 destando enorme sconcerto
Arzachena Il dolore aveva scandito i giorni della sua infanzia. La sua storia aveva sconvolto la Gallura. Era stato vittima di maltrattamenti da parte dei genitori e di una zia. Vessato e tenuto segregato per punizione nella sua cameretta, nella casa degli orrori di Arzachena. Aveva 11 anni quando il caso venne alla luce, nell’estate del 2019. Ieri la tragedia. Inaspettata. Si è tolto la vita a 16 anni. Tormentato ancora e sopraffatto dall’orrore vissuto. È stato trovato senza vita nella casa della zia materna, “la zia buona”, come la chiamava lui, a cui era stato affidato dopo la revoca della potestà genitoriale. Inutili i soccorsi e ogni tentativo di rianimarlo.
Nel 2022 la Corte di Cassazione aveva confermato per i genitori e per la zia la condanna a otto anni di reclusione per maltrattamenti e sequestro di persona. Una sentenza che aveva chiuso una delle vicende di cronaca più inquietanti degli ultimi anni. Una ferita che ora si riapre con la sua morte e i drammatici ricordi di ciò che aveva vissuto.
Era stato proprio lui a chiedere aiuto ai carabinieri con un cellulare senza sim, all’ennesimo giorno di prigionia nella sua cameretta dov’era stato rinchiuso dai genitori prima che uscissero. Era il 29 giugno del 2019. Ai militari che lo avevano liberato, aveva raccontato che i suoi genitori lo rinchiudevano per punizione. Dalle indagini era emerso l’inferno: le terribili e umilianti punizioni inflitte al bambino, segregato al buio nella sua stanza per ore, senza letto e con un secchio per fare i bisogni, picchiato con un tubo di plastica dietro le ginocchia, nutrito con pane e pasta in bianco, costretto a fare anche 12 docce gelate d’inverno, privato di giochi, di indumenti e della lettura della Bibbia. Intimorito con l’ascolto di audio con voci alterate tali da sembrare sataniche con cui veniva minacciato di essere portato all’inferno, di morire di fame, di essere torturato e ucciso dai demoni.
Nella casa degli orrori, i carabinieri avevano sequestrato anche tre diari choc nei quali il bambino raccontava dei maltrattamenti e delle vessazioni subite da anni soprattutto da parte della madre, e parlava anche della zia come complice nelle angherie inflitte. Raccontava delle docce fredde, dei colpi col tubo in gomma alle gambe, di quando i genitori uscivano e lo chiudevano a chiave nella sua stanza al buio. Scriveva che voleva andare in seminario, che si sentiva triste. E nei diari inventava un amico immaginario con cui parlare.
I carabinieri avevano arrestato prima i genitori (47 anni il padre e 45 la madre, all’epoca dei fatti) e poi era finita in carcere anche una zia 41enne, ritenuta l’istigatrice di quelle violenze fisiche e psicologiche. A incastrarla le telefonate trovate nel cellulare della madre del bambino registrate attraverso una app, da cui era emerso come fosse lei a indicare a sua cognata come comportarsi con il figlio e a istigarla a mettere in atto le più umilianti e terribili punizioni. Insomma, dettava la linea del rigore e imponeva i correttivi.
Tutti e tre avevano ammesso le proprie responsabilità sostenendo la tesi inquietante che le punizioni nella casa degli orrori fossero necessarie per la corretta educazione del bambino.
Nel giugno 2020, il tribunale di Tempio li aveva condannati a 8 anni di reclusione (con rito abbreviato), ritenendoli responsabili tutti e tre nella stessa misura di quelle violenze, e negando loro le attenuanti generiche nonostante fossero incensurati e avessero confessato. Condanna confermata in appello e diventata definitiva col pronunciamento della Cassazione.
Tutti e tre si trovano ancora in carcere. Ieri mattina la tragedia. Un fulmine a ciel sereno per la famiglia e la comunità intera.