Pochi medici di famiglia, Antonello Desole: «Un mestiere con poco appeal»
(Fimmg): «Molto stress, incentivi e guadagni inadeguati»
Sassari In Sardegna mancano sempre più camici bianchi. Il medico che segue 1.500 pazienti ormai è la normalità, ma c’è chi arriva a 1.700, 1.800. L’isola è maglia nera: meno 39% di medici in cinque anni, il peggior dato d’Italia. Un mestiere con scarsissimo appeal, a rischio estinzione (così dicono gli addetti ai lavori) se la riforma e l’arruolamento dei medici di base nelle file dell’Asl, dovesse andare in porto.
Antonello Desole, medico di medicina generale e segretario provinciale della Fimmg di Sassari, osserva la progressiva scomparsa della specie con estrema preoccupazione.
«Butto giù subito un dato: in questo preciso istante ci sono 11mila medici di base con tutti i requisiti per andare via anticipatamente e con il massimo della pensione. Se questo esodo dovesse concretizzarsi, il sistema sanitario collasserebbe».
Un ricambio sarebbe impossibile?
«Lo dice la matematica: in questo momento non ci sono i numeri per sostituire la vecchia guardia. Perché la politica non è stata sufficientemente lungimirante nella programmazione, e non ha previsto il turn over. A cominciare dalle scuole di formazione: per troppi anni si è adottato il numero chiuso con pochi posti disponibili, e solo di recente, quando il disastro era sotto gli occhi di tutti, si è corsi ai ripari allargando le maglie della selezione. Ma nel frattempo un’intera generazione si è allontanata da questa professione, dirottandosi in specialità ben più remunerative».
Cosa scoraggia gli aspiranti medici?
«Ad esempio l’essere stati per decenni degli specializzandi di serie B. La scuola prevedeva 3600 ore formative, tirocini pratici nei reparti ospedalieri, lezioni frontali, un impegno quotidiano molto intenso, retribuito con 800 euro al mese. Ai colleghi delle altre specialità venivano riconosciuti 1800 euro, cioè più del doppio. Ecco che la medicina generale, sin dai primi passi, partiva col piede sbagliato. Per fortuna il triennio 2024-2027 ha colmato questa sperequazione, e gli specializzandi in medicina generale adesso guadagnano come tutti gli altri. Ma quanti giovani, prima d’ora, si sono fatti i loro conti e hanno fatto altre scelte?».
Il vostro mestiere ha ancora poco appeal?
«In certi scenari è davvero una professione difficile. E questo lo si deve al progressivo depauperamento delle risorse stanziate per la medicina generale, con i fondi dirottati su altre funzioni. Con una coperta sempre corta, non ci sono incentivi per chi opera in zone disagiate e disagiatissime. La Sardegna ne sa qualcosa: perché un medico dovrebbe scegliere come sedi Bacu Abbis, o Perdas de Fogu o la Maddalena per guadagnare quanto un collega che apre comodamente l’ambulatorio vicino a casa sua, a Sassari, Cagliari o in un altra grande città? E perché un altro dovrebbe dividere i propri 1500 pazienti tra Burcei, Malacalagonis o Gibba, rimbalzando tra un paesino e un altro senza adeguati rimborsi? In altre regioni le cose vanno diversamente: nel montuoso Veneto e nella Liguiria fatta di paesi sparsi, i colleghi prendono 10 euro in più per ogni paziente delle zone disagiate. Questi sono gli incentivi che mancano in Sardegna e fanno sì che molte zone dell’entroterra restino scoperte dalla continuità assistenziale».
La riforma, a questo proposito, prevede 1300 case di continuità. Che ne pensa?
«Bisogna spendere i soldi del Pnrr, solo che si è pensato solo a una progettualità edilizia, ma non sanitaria. Quelle case vanno riempite di personale, ma chi ci metteranno dentro se mancano i medici di base? A meno che non si voglia smantellare completamente l’assistenza alle famiglie, e quella capillarità di cure che abbiamo costruito in mezzo secolo. L’errore più grosso che si può fare è quello di chiudere i nostri ambulatori per inscatolare i medici nelle Case di Comunità: per il territorio e soprattutto per le periferie equivarrebbe a un disastro. Non dimentichiamo mai un aspetto: quella del medico di famiglia è l’unica porta della sanità sempre aperta al paziente».