La Nuova Sardegna

L’inchiesta

Disforia di genere, nell’isola triplicati in dieci anni i giovani transgender

di Ilenia Mura
Disforia di genere, nell’isola triplicati in dieci anni i giovani transgender

Il racconto dei genitori: «Troppi protocolli controversi, vogliamo aiutare i nostri figli»

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Sassari Dieci anni fa nelle aule del tribunale di Cagliari i procedimenti per la cosiddetta “rettificazione di attribuzione di sesso” – passati nelle mani dei giudici – sono stati appena 5 in dodici mesi. A febbraio 2025? I fascicoli che riguardano il cambio d’identità, sono già 7. Sette in un mese e 28 giorni, tanto è vero che i casi di maschi e femmine che vogliono cambiare sesso sono in vertiginoso aumento: dai 5 del 2014, ai 21 del 2024. Nove nel 2020, 15 nel 2021, 17 nel 2022, 15 nel 2023. Da un giorno all’altro, i genitori si sono sentiti dire: “Mamma, papà ho la disforia di genere”.

Così, «la paura di prendere decisioni sbagliate, ha spinto molti di noi a dedicarsi anima e corpo all’approfondimento di tale condizione, nel tentativo di comprendere meglio i rischi dell’approccio affermativo che in questi casi viene consigliato dai medici ai nostri figli». Dal nord al sud della Sardegna, le storie dei genitori in crisi sono accomunate dal patema d’animo di chi racconta, in forma anonima, un travaglio che in molti casi ha portato dritti dallo psicoterapeuta: «Noi non sapevamo manco che cosa fosse la disforia di genere», confessa una madre del Cagliaritano: «Sono caduta in depressione e mi sono rivolta al Centro di salute mentale». La figlia avrebbe parlato di questa sua condizione «dopo aver trascorso, in solitudine, chiusa nella sua stanza, ore e ore al computer, accedendo a profili in cui si narra quanto sia facile e normale cambiare sesso. Abbiamo cominciato a documentarci, dopo aver aperto a nostra volta un profilo social. Volevamo capire, volevamo aiutarla. Eravamo disperati». Fino a quando «siamo entrati in contatto con l’associazione GenerAzioneD e ci siamo resi conto che le nostre storie erano simili a quelle di tante altre famiglie». Dal nord Sardegna un padre estromesso dalla vita della figlia ha provato a cercare di capire, mettendosi in contatto con i medici che la stavano seguendo: «Ha cambiato decine di psicoterapeuti, pagavo tutte le visite. Una volta maggiorenne però abbiamo trovato tutte le porte chiuse, la psichiatra che la seguiva ci ha risposto che non poteva darci informazioni per motivi di privacy. Ma noi siamo i suoi genitori, vogliamo essere con lei in questa lotta non indifferente».

«E se fosse un capriccio?», domanda la madre, «è sempre stata una bimba serena, non ha mai manifestato comportamenti che facessero pensare a una situazione simile. Siamo convinti sia sta condizionata dai social». L’esplosione dei casi in piena pandemia: «I nostri figli sono stati bombardati da post, video di influencer e tiktoker che hanno già intrapreso una strada da cui non si torna più indietro». “Ho la disforia di genere, sono transgender e voglio fare la transizione”: «Mia figlia ce l’ha detto dopo essersi tagliata i capelli e aver cominciato a coprirsi completamente con mega felpe. Si isolava non voleva più andare al mare». C’è chi ha già fatto la visita dall’endocrinologo dando il via alla terapia ormonale: «Dopo le sedute di accompagnamento psicologico alla transizione, i nostri figli ottengono il certificato di disforia di genere e, a seconda dell’età, accedono alla terapia coi bloccanti della pubertà o a quella ormonale cross-sex (a vita). Sul web abbiamo scoperto che quello degli ormoni è un business in crescita che ora vale 15 miliardi di dollari».

In Rete i genitori si sono imbattuti anche in medici che garantiscono diagnosi di disforia di genere dopo due sedute. La prontezza con cui vengono offerte soluzioni mediche lascia spazio a più domande che risposte: «Cautela e riflessione sembrano essere state sostituite da un’urgenza inquietante. L’unica diagnosi possibile, alla loro sofferenza, sembra essere solo quella della disforia». La situazione diventa più complessa con la maggiore età: «Sono liberi di prendere decisioni indipendentemente dalle implicazioni future, che possono essere permanenti sia a livello fisico che psicologico. I medici, vincolati dal dovere della riservatezza, non coinvolgono né informano le famiglie, né le chiamano per fornire informazioni anamnestiche». Così sempre più adolescenti avrebbero annunciato la loro presa di coscienza («praticamente un’autodiagnosi», dicono le famiglie) dopo aver cominciato a seguire profili transgender, entrare nei canali Telegram stranieri dove viene spiegato come cambiare sesso: dalla terapia psichiatrica a quella ormonale fino al cambio di identità in tribunale. Dal nord al sud della Sardegna, storie di padri e madri disarmati. Chiedono prudenza: «È la vita dei nostri figli», dicono in lacrime. Ma la risposta degli specialisti pare sia stata immediata e uniforme: «Ci siamo sentiti dire che nostra figlia deve essere assecondata senza esitazione, perché il rischio di suicidio è elevato. Ci hanno detto: meglio una figlia transgender che una morta».

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