La Nuova Sardegna

Sassari

L’ex parroco di Arzana: «Qui ho seppellito 31 morti ammazzati»

di Paolo Merlini
L’ex parroco di Arzana: «Qui ho seppellito 31 morti ammazzati»

Parla don Vincenzo Pirarba, guida spirituale del paese per 33 anni. Anche lui girava armato: «Ho paura che ritorni il passato»

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ARZANA. «La mia paura è che si torni al passato, che il paese sia di nuovo dominato dalla violenza, come è avvenuto per tanti anni. La violenza che io ho cercato di combattere in ogni modo». Parole di don Vincenzo Pirarba, guida spirituale degli arzanesi per quasi trentatré anni. «Lo sa quanti funerali di morti ammazzati ho celebrato durante questo periodo? Trentuno», dice il sacerdote originario di Villagrande, settantaquattro anni compiuti il mese scorso, e da poco più di una settimana trasferito a Talana. Un normale avvicendamento fra parrocchie, qui come in altri paesi d’Ogliastra, sostengono alla curia vescovile di Lanusei, motivando una decisione che proprio ad Arzana ha creato un diffuso malcontento tra i fedeli. «Macché, è un esilio forzato – commentano i più accaniti fra loro – fra due anni sarebbe andato in pensione e aveva manifestato chiaramente di volersi fermare per sempre in quello che riteneva il “suo” paese».

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Un triste destino lo lega alla famiglia dei due uomini uccisi mercoledì. «Sono arrivato ad Arzana nel dicembre 1983, quindici giorni dopo l’omicidio di Angelo Caddori, il padre dei due ragazzi. Non fui io dunque a celebrare il suo funerale, ma il mio predecessore. Ora, ho appena lasciato, certo con rammarico, la parrocchia che ho guidato per così lungo tempo. La notizia della morte di questi due giovani risveglia in me un dolore che credevo dimenticato». Molti in paese forse lo vorrebbero, ma non sarà lui a celebrare la messa funebre dei due fratelli. Il suo sostituto, don Michele Congiu, quarant’anni appena compiuti, si sarebbe dovuto insediare il 28 agosto, ma è probabile che il vescovo Mura lo costringa ad anticipare il suo arrivo ad Arzana. C’è un funerale da celebrare, il funerale di due morti ammazzati. Ad Arzana non accadeva dal dicembre 2004, quando Nino Ferrai e la moglie Mariangela Bangoni furono portati dentro due bare di fronte all’altare della chiesa di San Giovanni Battista, lo stesso altare davanti al quale si erano sposati tanti anni prima.

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«Ho lasciato con la consapevolezza di aver lavorato bene – dice don Pirarba – ho combattuto la violenza in ogni modo. Esponendomi in prima persona. Rischiando la vita». Come quando, nel gennaio 1991, furono esplose due fucilate contro la sua auto parcheggiata davanti alla chiesa e un’altra scarica contro la canonica. Il motivo? Non si è mai saputo, ma da quel giorno si diffuse la voce che anche don Pirarba era armato, al pari di tanti in paese. E che dunque era pronto a difendersi come un prete di frontiera in un film western. Fu davvero così, don Pirarba? «Effettivamente avevo un fucile. Ma provenivo da una famiglia di cacciatori, e lo ero io stesso», risponde oggi con furbizia tutta ogliastrina. Non sappiamo se quel fucile conservato in canonica lo abbia aiutato a superare indenne gli anni più bui della storia di Arzana, ma a quanto pare non gli accadde più nulla.

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In seguito don Pirarba è stato protagonista di una serie di episodi che hanno fatto molto discutere, dentro e fuori dalla chiesa. Nel 1997, con anni di ritardo, all’ospedale di Lanusei si effettuarono i primi aborti, e lui fece suonare a morto le campane della parrocchia. Convinto seguace della Madonna di Medjugorie, fece gridare al miracolo i compaesani quando un giovane guarì, si dice, da un tumore dopo aver toccato alcune pietre che il prete aveva portato con sé dal santuario bosniaco. Nei tanti anni di sacerdozio ad Arzana, il Demonio è stata un po’ la sua ossessione: come quando, dieci anni fa, bruciò in piazza una copia del “Codice da Vinci” di Dan Brown. «È un libro blasfemo», disse.

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