Nuova luce sulla morte del Conte di Moriana
di Eugenia Tognotti
La restaurazione della tomba nel duomo di Sassari potrebbe dare la soluzione a una vicenda che ancora appassiona
19 marzo 2018
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La restaurazione del monumento funebre del Conte di Moriana, nel duomo di Sassari, offrirà un’occasione unica per risolvere “un giallo storico”: quello della causa della misteriosa morte, avvenuta nel 1802, del principe sabaudo Giuseppe Placido Benedetto di Savoia-conte di Moriana, governatore di Sassari e del Logudoro. La possibilità di accedere ai suoi resti, infatti, consentirà di dare una risposta a una domanda che ha attraversato i secoli, a dispetto delle dichiarazioni giurate dei medici, che, dopo i rilievi fatti sul cadavere, affermarono che il principe era morto a causa delle “convulsioni generali” di cui soffriva da tempo.
Un bicchiere fatale. La dichiarazione giurata è del 29 ottobre: il giorno prima, il principe, appena tornato da una funzione religiosa, aveva bevuto un bicchiere d’acqua, portato da un cameriere. Quasi immediatamente si erano manifestati i sintomi di “uno spasmo convulsivo”. I medici accorsi (i migliori della città, tra cui alcuni accademici della Facoltà di Medicina) avevano tentato di tutto, con le armi spuntate di cui si disponeva al tempo: misture antispasmodiche, clisteri canforati e via dicendo, ma inutilmente. Per una ben strana coincidenza suo fratello, Giuseppe Maurizio, duca di Monferrato, era morto esattamente tre anni prima, ad Alghero, alla stessa età. In quel caso però conosciamo la causa della morte, cioè la malaria: le descrizioni dei medici e dell’entourage di corte descrivono minuziosamente l’insorgere del male (dopo un viaggio tra Sassari e Alghero, attraversando l’insalubre Nurra). E, ancora, i sintomi e il decorso della malattia, contro la quale erano stati inutili e controproducenti le cure dei medici (il salasso), mentre la corteccia di china era arrivata troppo tardi. La malattia del duca di Monferrato, che era allora governatore di Sassari, era durata alcuni giorni e la diagnosi di malaria, antico flagello dell’isola, non sembra dubbia.
I sospetti. Le circostanze della morte del conte di Moriana , invece, concorrevano ad alimentare sospetti. C’era intanto la morte improvvisa e, soprattutto, forse, l’ombra del recentissimo tentativo rivoluzionario di un gruppo di fuorusciti sardi in Corsica, avvenuto in giugno. Sbarcati in Gallura , i ribelli, guidati da un prete, Francesco Sanna Corda, avevano proclamato la Repubblica sarda e catturato un bastimento postale, impadronendosi delle torri di Longosardo, Vignola e Isola Rossa. Domata la rivolta, era seguita una spietata repressione ordinata dal vicere Carlo Felice, fratello del conte di Moriana. Uno dei capi della rivolta, il notaio cagliaritano Francesco Cilocco, catturato in Gallura, era stato portato a Sassari, ferito e sanguinante, a dorso di mulo. Qui, dopo essere stato torturato, era stato processato e condannato a morte, sentenza eseguita il 30 agosto. Il corpo del Cilocco era rimasto esposto per giorni in città, in modo da scoraggiare da “avventure” i giacobini. Il dubbio che la morte di Placido Benedetto fosse dovuta al veleno, tormenta suo fratello, il re Vittorio Emanuele , succeduto a Carlo Emanuele IV, traumatizzato dai supplizi di Luigi XVI, fratello di sua moglie Maria Clotilde, ghigliottinato con Maria Antonietta nel 1794.
La paura e i patemi. Tutta la famiglia reale, del resto, costretta a all’esilio in Sardegna alla fine del 1798, dopo l’occupazione del Piemonte da parte delle armate francesi, viveva in uno stato di angoscia e paura di attentati . Il fantasma del veneficio doveva essere diffuso in vari ambienti. Scrivendo a Carlo Felice gli dice di essere “funestato” dall’idea del veleno e lo informa di avere informazioni sulla presenza a Sassari di due giacobini “molto cattivi”, tra cui uno speziale, un “apotecario” . Carlo Felice, tuttavia, non sembra condividere: il loro fratello minore non era in buona salute, anzi. Dopo una malattia che lo aveva colpito alcuni anni prima «era sempre stato soggetto a mal di testa molto frequenti, accompagnati da una pesantezza e da un intorpidimento in tutte le membra e una sonnolenza al mattino tale da richiedere un enorme fatica per svegliarsi». Di certo il principe non era in buona salute. Al momento della morte i medici mettono l’accento sulle “veglianti cure del governo” e “i patemi d’animo” (stress, diremmo, oggi ). Inquietudini, ansia e tristezza segnavano il vissuto emotivo del principe . Tra i “patemi d’animo” si deve forse comprendere un amore impossibile: quello per sua cognata Maria Teresa d’Asburgo Este, moglie di Vittorio Emanuele, « un sentimento complicato quanto mai, e che si correrebbe il rischio di profanare a voler troppo sottilizzarvi sopra», azzardano alcuni biografi coevi , parlando di questo gossip reale.
Il mistero. Di che cosa morì, dunque , il conte di Moriana, nato nel 1766, che aveva conosciuto il tramonto dell’antico regime e quell’evento spartiacque nella storia del mondo che è la rivoluzione francese? Di veleno o per una crisi epilettica o qualche altra patologia che i medici del tempo non erano in grado di identificare? L’incertezza, tra l’altro, ha autorizzato sgangherate spiegazioni (peste, vaiolo, colera), sparse nelle sintesi storiche e nelle fonti divulgative. La famosa guida rossa del Touring Club, ad esempio, parla di colera: malattia diffusa nel Delta del Gange, che arriva in Europa nel 1830 per la prima volta. Su Wikipedia si parla invece di malaria e di possibile avvelenamento. La restaurazione del monumento che consentirà l’accesso ai resti, offre, insomma, un’opportunità irripetibile, sul piano scientifico e storico.
Un bicchiere fatale. La dichiarazione giurata è del 29 ottobre: il giorno prima, il principe, appena tornato da una funzione religiosa, aveva bevuto un bicchiere d’acqua, portato da un cameriere. Quasi immediatamente si erano manifestati i sintomi di “uno spasmo convulsivo”. I medici accorsi (i migliori della città, tra cui alcuni accademici della Facoltà di Medicina) avevano tentato di tutto, con le armi spuntate di cui si disponeva al tempo: misture antispasmodiche, clisteri canforati e via dicendo, ma inutilmente. Per una ben strana coincidenza suo fratello, Giuseppe Maurizio, duca di Monferrato, era morto esattamente tre anni prima, ad Alghero, alla stessa età. In quel caso però conosciamo la causa della morte, cioè la malaria: le descrizioni dei medici e dell’entourage di corte descrivono minuziosamente l’insorgere del male (dopo un viaggio tra Sassari e Alghero, attraversando l’insalubre Nurra). E, ancora, i sintomi e il decorso della malattia, contro la quale erano stati inutili e controproducenti le cure dei medici (il salasso), mentre la corteccia di china era arrivata troppo tardi. La malattia del duca di Monferrato, che era allora governatore di Sassari, era durata alcuni giorni e la diagnosi di malaria, antico flagello dell’isola, non sembra dubbia.
I sospetti. Le circostanze della morte del conte di Moriana , invece, concorrevano ad alimentare sospetti. C’era intanto la morte improvvisa e, soprattutto, forse, l’ombra del recentissimo tentativo rivoluzionario di un gruppo di fuorusciti sardi in Corsica, avvenuto in giugno. Sbarcati in Gallura , i ribelli, guidati da un prete, Francesco Sanna Corda, avevano proclamato la Repubblica sarda e catturato un bastimento postale, impadronendosi delle torri di Longosardo, Vignola e Isola Rossa. Domata la rivolta, era seguita una spietata repressione ordinata dal vicere Carlo Felice, fratello del conte di Moriana. Uno dei capi della rivolta, il notaio cagliaritano Francesco Cilocco, catturato in Gallura, era stato portato a Sassari, ferito e sanguinante, a dorso di mulo. Qui, dopo essere stato torturato, era stato processato e condannato a morte, sentenza eseguita il 30 agosto. Il corpo del Cilocco era rimasto esposto per giorni in città, in modo da scoraggiare da “avventure” i giacobini. Il dubbio che la morte di Placido Benedetto fosse dovuta al veleno, tormenta suo fratello, il re Vittorio Emanuele , succeduto a Carlo Emanuele IV, traumatizzato dai supplizi di Luigi XVI, fratello di sua moglie Maria Clotilde, ghigliottinato con Maria Antonietta nel 1794.
La paura e i patemi. Tutta la famiglia reale, del resto, costretta a all’esilio in Sardegna alla fine del 1798, dopo l’occupazione del Piemonte da parte delle armate francesi, viveva in uno stato di angoscia e paura di attentati . Il fantasma del veneficio doveva essere diffuso in vari ambienti. Scrivendo a Carlo Felice gli dice di essere “funestato” dall’idea del veleno e lo informa di avere informazioni sulla presenza a Sassari di due giacobini “molto cattivi”, tra cui uno speziale, un “apotecario” . Carlo Felice, tuttavia, non sembra condividere: il loro fratello minore non era in buona salute, anzi. Dopo una malattia che lo aveva colpito alcuni anni prima «era sempre stato soggetto a mal di testa molto frequenti, accompagnati da una pesantezza e da un intorpidimento in tutte le membra e una sonnolenza al mattino tale da richiedere un enorme fatica per svegliarsi». Di certo il principe non era in buona salute. Al momento della morte i medici mettono l’accento sulle “veglianti cure del governo” e “i patemi d’animo” (stress, diremmo, oggi ). Inquietudini, ansia e tristezza segnavano il vissuto emotivo del principe . Tra i “patemi d’animo” si deve forse comprendere un amore impossibile: quello per sua cognata Maria Teresa d’Asburgo Este, moglie di Vittorio Emanuele, « un sentimento complicato quanto mai, e che si correrebbe il rischio di profanare a voler troppo sottilizzarvi sopra», azzardano alcuni biografi coevi , parlando di questo gossip reale.
Il mistero. Di che cosa morì, dunque , il conte di Moriana, nato nel 1766, che aveva conosciuto il tramonto dell’antico regime e quell’evento spartiacque nella storia del mondo che è la rivoluzione francese? Di veleno o per una crisi epilettica o qualche altra patologia che i medici del tempo non erano in grado di identificare? L’incertezza, tra l’altro, ha autorizzato sgangherate spiegazioni (peste, vaiolo, colera), sparse nelle sintesi storiche e nelle fonti divulgative. La famosa guida rossa del Touring Club, ad esempio, parla di colera: malattia diffusa nel Delta del Gange, che arriva in Europa nel 1830 per la prima volta. Su Wikipedia si parla invece di malaria e di possibile avvelenamento. La restaurazione del monumento che consentirà l’accesso ai resti, offre, insomma, un’opportunità irripetibile, sul piano scientifico e storico.