La Nuova Sardegna

A caccia di aragoste: come si pesca la regina del mare

Luca Uurgu
A caccia di aragoste: come si pesca la regina del mare

Una giornata a bordo della barca Penelope con i bosani Marco Sotgiu e Marco Urgu

04 settembre 2018
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BOSA. Penelope prende il mare nella notte fonda di fine agosto. Ad illuminarne la scia, una luna alta che fa brillare la superficie del mare ancora leggermente increspata dopo la forte maestralata che ha sferzato la costa per alcuni giorni. A bordo c’è l’equipaggio che da un anno fa coppia fissa. Al timone il giovane comandante Marco Urgu, 25 anni e il suo vice Marco Sotgiu, 59 anni, la maggior parte dei quali vissuti a navigare in questo specchio di mare che, una volta lasciato il Temo, guarda alla punta di Marrargiu e Capo Caccia.

Marco “il giovane” e Marco “il vecchio” in questa prima fase di navigazione, che conduce il loro peschereccio Penelope verso le prime reti calate qualche giorno prima, non parlano. Non c’è bisogno. I loro gesti sono sincronizzati dall’esperienza e da centinaia di nottate già passate gomito a gomito inseguendo la regina: sua maestà l’aragosta dalle carni bianche e prelibate. Le condizioni sembrano davvero quelle ideali per una pesca importante.

Il forte maestrale che ha agitato correnti e mosso i fondali e una luna che sembra parlare nel linguaggio spesso criptico degli uomini di mare fanno comunque ben sperare. Entrambi sanno che quel codice non è affatto scontato e che ancora una volta sarà il mistero e l’imprevedibile a dettare i tempi della pesca. A decidere che cosa tireranno su dalle reti. E a dire se sarà una giornata persa, normale o straordinaria e da ricordare. Anche perché mancano pochi giorni alla chiusura della stagione della pesca all’aragosta, vietata dal primo settembre. Dopo circa quaranta minuti di navigazione spinti da un diesel che canta leggero quasi a non voler disturbare l’incredibile quiete dell’immenso blu, ancora scuro, l’equipaggio arriva alla prima bandierina. Segnale inequivocabile della rete calata in quel punto da issare a bordo.

Intanto Bosa con il suo castello che sovrasta la città dal colle di Serravalle dorme placida e i contorni delle casette colorate non si scorgono più. L’aurora porta il nuovo giorno, accompagnata dai colori che solo la tavolozza della natura dispone magnanima per un affresco di tale bellezza. In barca c’è poco spazio per il romanticismo: occorre pragmatismo e movimenti rapidi. Braccia forti e sguardi attenti alla rete che spesso si impiglia e porta in superficie frammenti di rocce e anche qualche rifiuto che il mare restituisce sdegnato per chi non lo ha amato.

Una rete lunghissima calata in questo tratto a quasi settanta metri di profondità. Quando a turno Marco il giovane e Marco il vecchio la tirano su, è un viaggio nell’ignoto. Metri e metri di nulla fanno imprecare, lunghi minuti a recuperare poi all’improvviso il loro rallentare ha solo un significato e un colore: il rosso dell’aragosta finita nella rete. Il crostaceo con le lunghe chele guadagna la barca e poi viene immerso suo malgrado nella vasca ricolma di acqua di mare che la deve riportare viva a terra. Dopo la prima nelle altre quattro reti che Marco ha calato nei giorni scorsi a meno di tre miglia dalla costa di aragoste ne verranno pescate tante altre – alcune davvero belle e oltre il chilo – in una giornata che col passare delle ore guadagna calore e un cielo terso da cartolina. Alla fine sembrano tutti contenti e stanchi e vogliosi di toccare terra e trovare rifugio a casa. Il mare ha deciso di tenere un profilo basso e di non esagerare con i suoi doni.

«Amos fattu sa zoronada», dice Marco Urgu con l’inconfondibile accento bosano che sa di ironia, saggezza antica e misurata, ma che sa essere dissacrante come pochi. L’equilibrio è nel sapersi accontentare perché si è consapevoli dell’imprevisto e che dopo le giornate di magra arrivano anche quelle da adrenalina pura con un pescato da ricordare che ti fanno tornare in porto e felice come un bambino. In effetti Marco Urgu fin da piccolino ha iniziato ad amare il mare e le sue magie. Quando con il padre Tore, pastore e il padrino Piero Madeddu, oggi avvocato del foro di Oristano, andavano a pescare per passione con il gommone e bollentino. «Avevo cinque o sei anni le prime volte.

Ero felicissimo ogni volta che si usciva. Notti e giornate bellissime che ti rimangono addosso», dice uno dei più giovani pescatori di Bosa che prosegue con passione, serietà ed entusiasmo un’attività storica della cittadina della Planargia. Il mare è stato un impiego non solo come pescatore. «Anni fa ho lavorato sulle nave da trasporto passeggeri della Saremar, poi la crisi della compagnia e il fallimento mi hanno riportato a Bosa – racconta – prima ho lavorato come dipendente, poi sono andato a Livorno a comprare il peschereccio Penelope. Inizialmente ho preso a bordo con me un pescatore navigato da cui ho imparato molto e ora ho con me Marco Sotgiu anche lui molto esperto e cresciuto fin da bambino in questo mare dove ha iniziato con suo padre, anche lui pescatore in un’epoca in cui il mare era forse più generoso di adesso».

La pesca all’aragosta, consentita da marzo al 31 agosto, è il business a cui si dedicano per sei mesi l’anno quasi tutte le imbarcazioni bosane. Il prezzo stellare (50 euro al chilo a chi la pesca mentre sul banco arriva anche a 70) del prelibato crostaceo ne giustifica il movimento anche se come dicono gli stessi pescatori troppe reti per un’unica preda hanno fortemente ridotto il pescato. «In passato pescavamo veramente di tutto. E l’attività tra i tanti pescatori era diversificata. Non tutti puntavano all’aragosta. Oggi purtroppo in troppi ci si divide un unico bottino e anche la quantità degli altri pesci, molti di questi anche pregiati è diminuita», racconta l’esperto Marco Sotgiu mandando lo sguardo al passato quando prendeva il mare con il padre Francesco nelle barche in legno forgiate con precisione dagli abili maestri d’ascia di Bosa.

Il rientro in banchina dei due dell’equipaggio avviene verso le 14. Entrambi stanchi, prima di raggiungere le rispettive dimore portano le aragoste in pescheria per monetizzare i frutti del loro lavoro. Prima di puntare tutto a prua, le reti sono state calate in quel tratto di mare dove verranno recuperate entro il 31 agosto. Servirà sempre l’aiuto della buona sorte per una buona pesca e rinnovare un rito sempre uguale ma sempre diverso.
 

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