Gianni Mazza: «Con Arbore per un po' siamo stati cognati, poi mi ha fatto diventare il suo Maestro»
Lo storico musicista e direttore d'orchestra degli show di Quelli della notte si racconta nella sua autobiografia
La sua musica ha fatto da colonna sonora alla bella tv, quella che ancora oggi - a distanza di diversi lustri - si cita come esempio di qualità, successo, leggerezza e profondità. La tv di Arbore, insomma. Ma la carriera di Gianni Mazza, per tutti il Maestro Mazza, inizia molti anni prima, nei localini jazz della Roma degli anni Sessanta. Una vita, dunque, sempre all’insegna della musica, che ora il pianista e direttore d’orchestra racconta in un libro, “Non mi ricordo una Mazza. Trattato di amnesia consapevole. (Un libro che si legge, si guarda e si ascolta)”, edito dalla Bertoni editore. Un’autobiografia che si rivolge agli amanti della storia della musica, delle storie di costume, degli anni d’oro della televisione di Quelli della Notte e Indietro tutta.
“Non mi ricordo una Mazza”. Cosa sarebbe il Maestro Mazza senza i doppisensi?
«In effetti, la mia vita ne è piena. Io tendo molto ad affrontare la realtà da un altro punto di vista, cerco di semplificare le cose. E uso spesso il mio cognome. In una trasmissione avevo la Mazza che band. E ora ho questo piccolo gruppo con cui facciamo jazz nei club che ho chiamato Mazza bum bum. Come la tequila. Che ora però si usa meno, va di più lo spritz. Ma io preferivo la tequila...».
Negli anni Sessanta debutta con un gruppo, i Freddie’s: quali erano i vostri sogni?
«Noi volevamo suonare con personaggi importanti. E ci riuscimmo. Ci capitò di fare una stagione a Tagliacozzo dove accompagnavamo Marino Barreto Junior. Ma non era facile stargli dietro: lui cantava sempre in ritardo e noi pensavamo “mo’ sbaglia!”. E invece aveva solo uno stile particolare».
L’incontro con Little Tony è la prima svolta importante della sua carriera.
«Avevo un pezzo e volevo farglielo sentire. Andai alla sua casa discografica, la Durium, glielo feci ascoltare e lui rimase colpito dal ritmo del pezzo, che però non incise. Ma mi andò bene uguale: diventai il suo pianista. Tony era il numero uno, aveva un pubblico pazzesco. Io guidavo un gruppo di 14 persone. Rimasi con lui per 8 anni».
Concerti in Sardegna?
«Tengo fede al mio libro: non mi ricordo una mazza (ride)».
Primi anni Settanta l’incontro della vita: Renzo Arbore. È vero che eravate cognati?
«Sì, c’è stato un momento ma nessuno immaginava che in futuro avremmo lavorato insieme. Lui era semplicemente il ragazzo di Mariangela (Melato, ndr), una donna fantastica, intelligente, seria, profonda. Molto spesso, essendo io il ragazzo della sorella più piccola di Mariangela, Anna, andavamo a cena tutti e quattro nella pizzeria sotto casa, ma non parlavamo mai di lavoro. Quello è arrivato solo dopo quando ci siamo lasciati».
Con Arbore fu un colpo di fulmine?
«Con Arbore come fa a non esserci un colpo di fulmine? È sempre simpatico, positivo anche se non si parla di lavoro. Ai tempi frequentavo casa sua, gli diedi anche una mano una volta quando si allagò. E soprattutto partecipavo alle feste di Renzo. Bei tempi, eravamo spensierati, non c’erano le scadenze del lavoro. In queste feste nascevano i rapporti, era tutto improvvisato, che poi è quello che lui ha inteso fare con Quelli della notte».
Una trasmissione che ha fatto la storia della tv.
«Uno show innovativo in tutti i sensi. Non c’era un orario: andavamo in onda quando ci davano la linea. La Rai dopo le 23 interrompeva le trasmissioni, ma da quel momento anziché chiudere partiva “Ma la notte no”».
Vi rendevate conto del successo?
«All’inizio non andava bene, ci guardavano solo i nottambuli, ma dopo qualche puntata gli ascolti schizzarono in alto. Ma noi mica ce ne rendevamo conto, ci divertivamo e basta: tanto a quest’ora chi ci vede, pensavamo. Era come fossimo in casa. La stessa scenografia richiamava la casa di Renzo. La differenza la facevano le telecamere, ma nessuno se le filava».
Frassica, Laurito, Ferrini, De Crescenzo, Marenco, Luotto: a chi era più difficile resistere?
«Frassica sicuramente. In via Teulada avevamo il camerino di fronte e ricordo che lo sentivo mentre ripeteva il suo monologo ma non capivo mai di cosa parlasse. Ognuno conosceva solo la sua parte, anche se poi bisognava vedere se Renzo gli avrebbe dato la parola».
Quando divenne il Maestro Mazza?
«Renzo mi chiamava così e da allora sono il Maestro Mazza. Ogni tanto qualcuno mi chiede: “ma di nome come fai?”».
Indietro tutta fu un successo musicale pazzesco: tutta Italia cantava “La vita è tutta un quiz” e “Vengo dopo il Tiggì”.
«Già il titolo era emblematico. In quella trasmissione c’era una critica a tutta la tv di allora, si criticava la stupidità dei giochi, i telefilm che finivano tutti con grandi sparatorie. Era un coacervo di situazioni che si vedevano soprattutto nelle tv private. E non è che oggi la tv sia cambiata in meglio».
Il 1991 è l’anno di Sanremo ma il suo Lazzo, ricco di doppisensi, non passò in finale.
«Mi dispiacque perché mi divertivo da morire. La mia era una critica all’ignoranza. Molti pensavano che fosse il lazo dei cowboy, ma quello è con una zeta. Io parlavo di uno scherzo, frizzi e lazzi. Forse mi sono fatto prendere la mano e avrei dovuto dire qualche volta in meno lazzo. Tipo la “canzone del lazzo”».
Prima di Arbore lavorò in tv con Nanni Loy.
«Fu il primo a darmi fiducia. Mi chiese di fare la sigla per “Tutti insieme compatibilmente”, che grazie al QR code presente nel libro - neanche sapevo cosa fosse e lo chiamavo bacarozzo - si può riascoltare insieme a tante altre. Fu un bel periodo, positivo, c’era voglia di rinascere».
Ha affiancato Corrado, Venier, Frizzi, Magalli, Guardì: con chi la maggiore sintonia?
«Con Mara mi sono trovato benissimo. Si respirava la stessa atmosfera degli show di Renzo».
Nella tv di oggi c’è spazio per il Maestro Mazza?
«In questo momento non sto facendo tv ma non me ne dolgo. Sto bene, faccio altro. Con i Mazza bum bum vado nei piccoli club, ma potrei andare anche nei teatri e magari diventare una orchestra che ospita cantanti. Non si deve mai finire di sognare. Le idee ci sono, ora bisogna fare in modo che si realizzino. In questo però la televisione è importante, perché è la dimostrazione che esisti».