La Nuova Sardegna

L'intervista

Carmen Lasorella: «Non ho cambiato lavoro, ma lo faccio in modo diverso»

di Alessandro Pirina
Carmen Lasorella: «Non ho cambiato lavoro, ma lo faccio in modo diverso»

La giornalista premiata ad Alghero per il suo romanzo: «La mia Rai era servizio pubblico, oggi non riesco a guardare i tg»

14 dicembre 2023
5 MINUTI DI LETTURA





Era il 1995 quando nacque il Premio Alghero Donna. Il riconoscimento per il giornalismo andò a Carmen Lasorella, volto di punta e inviata di guerra dei tg Rai. Ventotto anni dopo l’ambito premio che in questi anni è andato alle più importanti firme - tutte rigorosamente donne - del giornalismo e della letteratura ritornerà nelle mani di Carmen Lasorella, questa volta premiata per la narrativa, dopo la pubblicazione del suo primo romanzo, “Vera. E gli schiavi del terzo millennio”, edito da Marietti 1820. E dunque domani la giornalista lucana, innamorata pazza della Sardegna che un paio d’anni fa ha girato in lungo e largo con la sua moto, sarà al Teatro civico di Alghero.

Premio per la narrativa a lei che fu la prima a vincerlo per il giornalismo. Che effetto fa?

«Questa cosa mi piace da morire. Ventotto anni è un tempo enorme, e questo è ancora più bello perché significa che l’impegno prosegue a prescindere. Non è il ruolo che fa la persona ma sono le persone che danno senso ai ruoli. Ieri, nel mio ruolo di giornalista, ero vincolata a tutti i codici che il nostro mestiere comporta - benché oggi siano tutti saltati -, facendo anche tripli salti carpiati per riuscire a non essere di una parte. Oggi, invece, nella narrativa ho trovato quello spazio di sentimenti che professionalmente mi ero sempre negata».

In questo romanzo cosa c’è della Carmen giornalista?

«Il tratto comune credo che sia il carattere. C’era e resta. Inoltre, ai miei tempi c’era una forte caratterizzazione ideologica - che oggi è semplicemente partigianeria -, ma io sono riuscita a non unire mai la politica al mestiere. Ho sempre tenuto le due cose separate. I giornalisti devono raccontare anche le cose che non condividono. Questo non è un libro scritto da una giornalista, ma da una persona che ha fatto questo mestiere e ora lo vuole fare in modo diverso».

Lei ha iniziato giovanissima.

«Il primo articolo a 14 anni sulla Gazzetta del Mezzogiorno. Avendo la dichiarata ostilità dei miei genitori per questo mestiere feci la scelta di specializzarmi per trovare uno spazio professionale. Cronaca, costume erano super affollati. Meglio puntare su economia, finanza, tributi».

Arriva in Rai e ben presto diventa volto di punta del Tg2.

«La grande svolta la segna Antonio Ghirelli. Io ero a termine proprio per questa mia condizione di non appartenenza. Antonio forzò la situazione e mi mandò in video da precaria. Io dissi: “non lo puoi fare”. E lui: “non volevi essere assunta?”. Era una Rai diversa. Era una Rai in cui c’era senso del servizio pubblico, in cui si misurava la qualità. Era una Rai in cui c’erano destra, sinistra, ma anche lo spazio per chi veniva definito quello bravo. I direttori erano espressione di equilibri politici, ma erano persone strutturate».

Per anni inviata di guerra.

«Ho iniziato a viaggiare per sbaglio. Ero stata appena assunta e avevo realizzato il sogno di entrare nella redazione Esteri. Era appena finita la guerra tra Iran e Iraq, le acque del Golfo erano minate con grande pericolo per la navigazione. C’era necessità di documentare quanto stava accadendo. Ma era agosto ed eravamo pochi al Tg. Inviarono me, una donna sulle navi della Marina dopo una guerra sanguinosa. Passò un mese e chiesi di tornare in Italia, ma mi dissero no: la mia presenza aveva fatto impennare gli ascolti. Ai tempi una donna in un contesto di guerra faceva ancora impressione. Quando tornai trovai molte facce torve, contrariate da questo successo».

Con Lilli Gruber raggiunse una popolarità immensa.

«Eravamo due caratteri diversi che rappresentavano le due Italie che esistono tuttora. L’Italia del Nord più austera, quella del Sud più calda. Da una parte, lei che si era costruita il personaggio, dall’altra, io più spontanea. A me interessava comunicare, ero innamorata del mio mestiere. Ho sempre preferito fare l’inviata alla conduzione».

A Giuliana Sgrena, dopo il sequestro in Iraq, dicevano “se l’è andata a cercare”. A lei, vittima di un agguato in Somalia in cui perse la vita Marcello Palmisano, è capitato lo stesso?

«Io sono stata massacrata. Non volevo neanche partire, ma mi avevano costretta. Avevo anche preteso una scorta, perché consapevole del pericolo. Non appena usciti dall’aeroporto fummo attaccati da un centinaio di miliziani. Morì Marcello, morirono altre 10 persone. Il fatto che io sia sopravvissuta ha reso impossibili le speculazioni. In tutte le sedi ho difeso i fatti, la memoria di Marcello, la mia dignità. E così dopo un mese di attacchi sui giornali italiani, improvvisamente dopo un articolo di Paolo Guzzanti su Repubblica (“Salvate il soldato Carmen”) da vittima diventai un eroe. Era sbagliato prima, lo era dopo. Stavamo semplicemente facendo il nostro lavoro».

Come sta l’informazione?

«Ci sono problemi, è una informazione di uffici stampa. L’era informatica ha cambiato tutto, c’è un inquinamento spaventoso. George Orwell diceva: se non ci piacciono i fatti si possono cambiare. Siamo andati oltre: oggi si possono creare».

Quale tg guarda?

«Ho difficoltà a seguire quelli della Rai».

Appuntamento ad Alghero.

«Mi riempie di gioia venire. La notizia del premio mi è arrivata mentre ne ricevevo un altro in Sicilia. Mi piace che questi riconoscimenti arrivino da due terre così identitarie in un momento in cui l’Italia deve riappropriarsi della sua identità. Siamo tanta storia, anche con riferimento ai diritti. Ma si deve passare dalle enunciazioni ai comportamenti. Difendere i diritti dei più deboli significa anche difendere i nostri. Così funziona».
 

In Primo Piano
Olbia

Il sultano del Brunei vuole Villa Certosa, l’immensa dimora di Silvio Berlusconi a Porto Rotondo

Le nostre iniziative