La Nuova Sardegna

Lavoro

Nella giungla dei lavoratori freelance, tra zero tutele e compensi ridicoli

di Silvia Sanna
Nella giungla dei lavoratori freelance, tra zero tutele e compensi ridicoli

Anna Soru, fondatrice dell’associazione Acta: gli autonomi sono penalizzati

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Sassari Vent’anni fa si diventava lavoratori autonomi per scelta e dopo un periodo come dipendenti, attirati da un doppio vantaggio: guadagnare di più e gestire liberamente il proprio tempo. Poi tutto è cambiato e la situazione si è capovolta: «Tantissimi iniziano come autonomi perché è l’unica possibilità di lavorare e soprattutto per le donne per riuscire a conciliare professione e famiglia. Ma i compensi si sono drasticamente ridotti. Soprattutto a partire dalla grande crisi economica del 2008, le imprese hanno capito che i freelance non solo possono garantire flessibilità ma anche forti risparmi. In assenza di contratti collettivi nazionali, tariffe base e tutele, sono i datori di lavoro a tenere il coltello dalla parte del manico».

La conferma arriva dai numeri: circa metà dei lavoratori freelance non ha un reddito superiore ai 10mila euro lordi l’anno. Con l’obiettivo di garantire diritti negati e restituire il giusto valore economico al lavoro, è nata l’associazione Acta che mette in rete i lavoratori indipendenti, in particolare quelli non appartenenti a ordini professionali. A fondare l’associazione nel 2004 è stata Anna Soru , 64 anni, ogliastrina di Ulassai emigrata a Milano dai tempi dell’Università, presidente di Acta sino a pochi giorni fa. «Sono una freelance, mi occupo di ricerca economica. Quando sono nate le mie due figlie non esisteva un welfare per gli autonomi come me: non c’era per esempio l’indennità di maternità e non a caso le mie figlie sono nate entrambe a luglio per godere del mese di vacanza in agosto e ricominciare subito a lavorare a settembre. Ai tempi chi non era dipendente era considerato ricco oppure evasore: per esempio, sulla nave per rientrare in Sardegna gli sconti erano previsti solo per gli emigrati con stipendio fisso... Acta è nata per occuparsi innanzitutto di queste gravi carenze e abbiamo ottenuto risultati importanti, tra cui appunto l’indennità di maternità e di malattia. Poi le emergenze sono diventate altre». La crisi economica ha avuto riflessi gravissimi sulle retribuzioni: «Gli stipendi sono rimasti fermi e i compensi per gli autonomi sono crollati in contemporanea con l’aumento dei lavoratori freelance. L’assenza di parametri di riferimento ha causato un forte peggioramento del trattamento economico per le categorie di autonomi di seconda generazione, cioè quelli che offrono prestazioni ad alto contenuto cognitivo-creativo».

Un microcosmo che va dall’informatico al consulente, dal traduttore al fotografo e al grafico e comprende anche i professionisti della cultura e dello spettacolo. «In passato si guadagnava bene perché il datore di lavoro non aveva costi fissi e non pagava né tfr né contributi, che erano e sono a carico nostro. Poi le imprese hanno iniziato a tagliare i compensi dando sempre meno valore alla prestazione, spesso calpestando la dignità del lavoratore». Una giungla in cui è necessario stabilire se non rigidi paletti almeno delle regole di base: «L’Unione europa ha sempre equiparato il lavoro autonomo all’impresa e dunque la legge antitrust ha impedito la fissazione di tariffe. Di recente però qualcosa è cambiato: a fare da apripista sono stati i riders che hanno ottenuto il primo contratto collettivo in Europa perché non aveva senso considerarli impresa». Ma la strada è lunga perché i datori di lavoro continuano ad approfittare della debolezza contrattuale degli autonomi, «proponendo compensi vergognosi ed è triste che a farlo siano spesso le pubbliche amministazioni, come i Comuni. Bisogna dire no». Anna Soru fa i complimenti alla giovane ingegnera ligure che «ha rifiutato il contratto da 750 euro mensili» e invita tutti a sollevare la testa: «Gli stagionali del turismo hanno iniziato a farlo la scorsa estate e gli effetti si sono visti. È questa la strada giusta per ribadire che il lavoro ha un valore e non può essere sminuito e calpestato».

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