La messa in limba resta un sogno, dal Vaticano arriva un nuovo no
La motivazione: «Bisogna tenere conto della partecipazione dei fedeli»
Sassari Ci vorrà almeno un anno e forse più, se tutto andrà bene, senza ritardi e pause estive, prima che passi di nuovo il treno, proveniente da Roma, con la messa in lingua sarda ben confezionata con nastri rossi e ceralacca timbrata dalla Congregazione per il Culto Divino e la disciplina dei sacramenti.
Sembrava che tutto fosse pronto per approvare, almeno a titolo sperimentale, dieci tipologie di messe da celebrarsi in logudorese o campidanese, invece i segnali in arrivo dal Vaticano dicono “No Bibbia sarda, no messa”. Sembra un espediente della burocrazia della Santa Sede per raffreddare l’entusiasmo – soprattutto di quelli della “Fondatione Sardinia” – e convincerli a rinunciare al sogno di “pregheus in limba”.
Ma non è così perché bastava leggere la quarta istruzione della Congregazione del culto divino ”Varietates legitimae”, emanata da Giovanni Paolo II trentuno anni fa, per scoprire che «la traduzione della Bibbia, o almeno dei testi biblici usati nella liturgia, è necessariamente il primo momento di un processo d’inculturazione liturgica». Confermata recentemente da un Decreto attuativo del 22 ottobre 2021 molto chiaro: «Una condizione basilare previa è l’esistenza della versione della Bibbia in una data lingua, approvata dalla Conferenza Episcopale. I testi della Sacra Scrittura sono infatti la fonte primaria e ineludibile della liturgia».
È questa la comunicazione principale portata dall’arcivescovo di Cagliari Giuseppe Baturi, segretario generale della Cei, al convegno per la presentazione di un saggio di Bachisio Bandinu “Per una Chiesa sarda” .
Insomma, si deve tornare al punto di partenza. Riaprire il cantiere della traduzione di 46 libri del Vecchio Testamento e 27 del Nuovo Testamento e mettere un gruppo di esperti a lavorare con gran lena, eventualmente mettendo a punto anche un vocabolarietto per le espressioni liturgiche non bibliche.
«Se vogliono, i vescovi possono partire subito – dice don Antonio Pinna, docente emerito di Sacra Scrittura nella Facoltà teologica della Sardegna, nonché animatore del progetto ormai trentennale per la limba nella liturgia ufficiale – perché esiste una traduzione completa in logudorese della Bibbia di Gerusalemme fatta anni fa da Iscanu Uleri di Ploaghe».
Monsignor Baturi ha con grande chiarezza detto – sulla scorta delle norme vaticane – che «la preparazione della versione dei libri liturgici suppone un quadro valutativo che tenga anzitutto conto della lingua, delle sue prerogative e della sua diffusione, avendo uno sguardo rivolto al futuro prossimo del suo uso, a partire dal suo apprendimento da parte delle giovani generazioni. L’adozione nella liturgia di lingue vernacole deve tener conto, tra l’altro, che il criterio fondamentale è la partecipazione del popolo alle celebrazioni liturgiche e non convenienze di altro tipo». Cioè niente valori socio-identitari da conservare.
È compito della Conferenza episcopale sarda farsi carico – anche col ricorso ad esperti – del lavoro di traduzione in limba prima della Bibbia e poi della Messa. Poi bisognerà passare a Roma, alla Cei, per sentire il parere della Commissione Episcopale per la Liturgia e della Commissione per la Dottrina della Fede. Acquisiti questi due “via libera”, Bibbia e Messa in limba finiranno sul tavolo dell’assemblea della Cei, organismo che consente a tutti i vescovi, aventi diritto di voto, di condividere il loro compito di maestri del popolo di Dio: la preghiera liturgica, infatti, è la più chiara manifestazione di ciò che la Chiesa crede ed è tenuta a credere. Ultimo passaggio in Vaticano per la confirmatio.
I sostenitori del progetto Messa in limba sperano che anche la Regione batta un colpo per accelerare la traduzione del Libro sacro.