La resistenza dei sardi, storie di lotta e di coraggio vissute lontano dall’isola
L’istituto dell’antifascismo: «Dobbiamo mantenere viva la memoria»
Anche nella storia della Resistenza c’è una specificità tutta sarda che distingue i partigiani originari dell’isola da tutti quelli degli altri territori del Paese. Dopo l’armistizio dell’8 settembre, molti nostri corregionali si ritrovarono lontani dalla loro terra e nell’impossibilità di poterla raggiungere. È un fatto, quindi, che la loro provenienza condizionò il loro apporto nella lotta per la Liberazione.
«È difficile fare un conto del numero dei partigiani sardi – spiega Walter Falgio dell’ISSASCO, l’Istituto per la storia dell’antifascismo e della società contemporanea – c’è un dato solo ipotetico di circa 4000 combattenti a cui però è doveroso aggiungere tutti gli internati militari, i deportati, la popolazione civile che si è opposta al fascismo. Abbiamo decine e decine di partigiani sardi a cui sono state conferite onorificenze». Una vicenda purtroppo tragica racconta la situazione in cui si vennero a trovare molti sardi: quella dei martiri di Sutri. «Era un gruppo di militari originari dell’isola che si ritrovarono nell’alto Lazio e mentre cercavano di far ritorno in Sardegna vennero catturati e giustiziati dai tedeschi. L’unico superstite – racconta ancora il presidente dell’ISSASCO – fu Rinaldo Zuddas che ha ricostruito quanto avvenne ai suoi commilitoni».
Tra le storie più significative c’è quella di Nino Garau, cagliaritano, allievo ufficiale dell’aeronautica che al momento dell’armistizio si trovava nell’accademia dell’aeronautica trasferita a Forlì. «L’otto settembre, quando ci svegliammo, non trovammo più alcun ufficiale, i nostri superiori erano spariti senza darci alcuna direttiva, si sentiva solo dalla radio il proclama di Badoglio».
Le sue parole raccontano il disorientamento di quei giorni. «Garau, come tanti altri, si ritrovò senza riferimenti da seguire e senza poter tornare nella sua terra – ricorda ancora Falgio – decise allora di raggiungere dei parenti che aveva nel Modenese. Prese contatto con la Resistenza del luogo, fondò una Brigata, la “Aldo Casalgrandi”, di cui divenne anche comandante. Le sue memorie sono state fondamentali per ricostruire un pezzo importante della Resistenza sarda e a lui è stato anche dedicato un film realizzato proprio grazie al nostro Istituto».
Così come quelle di Giovanni Cuccu, contadino di Samassi. «Aveva combattuto in Slovenia e scelse di unirsi precocemente alle forze jugoslave dopo aver rifiutato, nell’estate del’42, la tessera del fascio: era molto esperto nell’uso delle armi pesanti, arrivò a congedarsi addirittura con il grado di maggiore dell’esercito di Tito. C’era poi Dario Porcheddu, un finanziere di Cabras, scampato per una fatalità alla fucilazione tedesca. Anche lui, partigiano in Jugoslavia, ha lasciato traccia scritta della sua esperienza: fondò l’Unione autonoma partigiani sardi».
Importantissimo fu anche il ruolo svolto dalle donne. «Un contributo fondamentale – aggiunge Falgio – tra l’altro in attività rischiosissime. Cito tra tutte la maestra Angela Maccioni, arrestata nel 1937 per delazione perché ritenuta una cospiratrice antifascista. E poi Graziella Sechi, amica di Angela, moglie di Dino Giacobbe, una donna straordinariamente forte e anche lei perseguitata. La sassarese Ines Berlinguer, la zia di Enrico e moglie di Stefano Siglienti che proprio lei riuscì a liberare dalla caserma della Cecchignola il 25 marzo del’44».
Cosa rimane quindi a 80 anni dalla Liberazione, dell’esempio, del coraggio e del sacrificio di tanti nostri corregionali e come fare per preservare la memoria? «Io credo – risponde Walter Falgio – che sia giusto enfatizzare questa ricorrenza con celebrazioni e cerimonie, ma quello che serve realmente è riuscire a sperimentare strumenti innovativi che consentano di trasmettere alle nuove generazioni i contenuti della Resistenza. Bisogna coinvolgere ragazze e ragazzi in maniera diretta. Noi come Issasco, lo abbiamo fatto, ad esempio, dando la possibilità, proprio ad alcuni studenti del Convitto nazionale di Cagliari coordinati dalla docente Laura Stochino, di realizzare la pagina Wikipedia dedicata a Nino Garau. È questo a mio parere il modo migliore per festeggiare il 25 aprile: rendere i giovani protagonisti nella costruzione di conoscenza, non solo attraverso la partecipazione a un corteo o ad una manifestazione».
La chiusura non può che essere affidata alle parole proprio di Nino Garau. «Nel ritornare indietro, posso ben affermare di aver trascorso una vita nella quale ho conosciuto un po’ di tutto – racconta nelle sue memorie – Ho visto in faccia la morte ma sono stato aiutato dalla fortuna nello scamparla; durante la Resistenza ho ucciso per non essere ucciso. Ma ciò che più conta è aver vissuto la guerra in prima linea e poi aver vissuto la pace. Posso ben dire che a guerra finita anche i vincitori non vincono».