La mappa dei dolci pasquali: dalla colomba di Milano alla pastiera napoletana
Tra le altre specialità le collure lucane e la scarcella pugliese
Ogni regione ha il suo dialetto, la sua ricetta e la sua idea di famiglia. E a Pasqua, più che mai, lo si sente a tavola. Basta guardare i dolci che sbucano dai forni di casa o dalle vetrine delle pasticcerie: una vera e propria mappa del gusto, fatta di memorie, simboli religiosi e profumi che sanno di primavera. In Lombardia, Veneto e Piemonte è la colomba pasquale a farla da padrona. Nata a Milano negli anni Trenta come risposta “primaverile” al panettone, oggi è un classico in tutta Italia. Ma non bisogna dimenticare le ricette più locali, come i fregolòtti veneti – biscotti secchi con burro e mandorle – o i pani dolci del Trentino, ancora legati alla tradizione contadina. In alcune valli alpine, ad esempio, si preparano ancora impasti arricchiti con frutta secca e miele, destinati a durare giorni interi, come una volta, quando il cibo doveva resistere ai lunghi inverni.
Scendendo verso il Centro Italia, il panorama cambia. In Umbria e Marche, ad esempio, si prepara la ciaramicola, un dolce rosso acceso grazie all’alchermes, con sopra una glassa bianca e confettini colorati. Un dolce festoso, che si porta in dono o si mangia la mattina di Pasqua. A Roma, invece, la colazione pasquale è un mix sorprendente di dolce e salato: si chiama pizza sbattuta ma è un soffice pan di Spagna che accompagna salame e uova sode. A raccontarla sembra strano, ma assaggiarla è un piccolo rito. Nelle campagne del Lazio si tramandano ancora le ricette delle ciambelle all’anice, preparate in casa e cotte nei forni a legna dei paesi, con un profumo che resta appeso nell’aria. In Toscana, invece, tra i dolci meno noti c’è la panina di Arezzo, una specie di pan brioche profumato con semi di anice, che veniva scambiato tra vicini e familiari come gesto di augurio pasquale. Una tradizione semplice, ma carica di significato: fare un dolce e regalarlo, come segno di riconciliazione.
Nel Sud, i dolci pasquali si fanno più ricchi, barocchi, quasi teatrali. In Campania, la regina assoluta è la pastiera napoletana, con il suo profumo di grano, ricotta, fiori d’arancio e scorze candite. C’è chi la prepara il giovedì santo e chi il venerdì, ma l’importante è lasciarla riposare prima di servirla: il gusto ha bisogno di tempo. In Puglia, i bambini ricevono la scarcella, un dolce di pasta frolla con un uovo sodo incastonato al centro, spesso a forma di colomba o cuore. Un regalo simbolico, che parla di rinascita. Anche in Basilicata e Calabria il dolce pasquale è legato all’infanzia. Le collure lucane o le cuzzupe calabresi – simili per forma e ingredienti – sono impasti semplici ma decorati con grande cura, a volte con zuccherini colorati, altre con lavorazioni fantasiose che richiamano animali, fiori o simboli religiosi. La manualità, in questi dolci, è tutto: ogni famiglia ha la sua versione, e non esistono due collure uguali.
In Sicilia il dolce è un gesto scenico, una dichiarazione d’amore per la vita. Gli agnelli di marzapane, lavorati a mano, sono vere e proprie opere d’arte, mentre le cuddure – simili alle scarcelle pugliesi – si regalano ancora come augurio. E poi c’è la cassata, che in alcune zone si riserva per la Pasqua e il Natale, con il suo trionfo di canditi e glassa. Prepararla è un rituale che può durare anche un giorno intero, ma chi ha assaggiato una cassata fatta in casa sa che ne vale la pena. Infine, la Sardegna, con il coccoi cun s’ou, pane dolce con l’uovo sodo incastonato, spesso regalato ai bambini, con forme che ricordano la primavera: gallinelle, fiori, agnelli. In alcune zone, come il Campidano o la Barbagia, questi pani diventano veri capolavori di arte popolare.